martedì 27 febbraio 2007

Netta dicotomia fra Venezia ed il resto della regione

Già altre volte ( 1 e 2) mi sono espresso sulla dicotomia tra Venezia ed il resto della Regione, intesa questa soprattutto com’espressione politica. “Che ci azzecca Venezia con il Veneto?” mi ero chiesto tempo fa. Le cronache di questi giorni m’invitano a tornare sull’argomento. Alla “fiera del turismo” di Milano (B.I.T.), aperta dal 22 al 25 febbraio la Regione Veneto aveva un suo stand che non comprendeva la Provincia di Venezia che, invece, n’aveva uno per conto suo. Quali siano state le ragioni vere di questo diversificarsi non le conosco, ma posso riassumerle con la parola “differenza”. Innanzi tutto esiste una differenziazione politica tra la provincia di Venezia, in particolare la sua parte occidentale ed il capoluogo stesso, con la maggior parte delle altre province. Ma la differenza principale è che, come attrazione turistica, è la Città (va bene il maiuscolo) che fa da traino a tutto il turismo del resto del territorio.

Sembra, però, che quest’ultimo fatto non sia molto importante per il vice-presidente della Regione del Veneto, il leghista trevisano Luca Zaia, con delega anche al turismo. Allora lo vediamo impegnato a sostenere campagne a sostegno degli agriturismo della zona del prosecco. Così riporta Il Gazzettino il “Zaia pensiero”: I titolari di agriturismo della zona del Prosecco sono disperati. Non c'entrano la peronospora, né le bizze del clima. Colpa della legge sull'immigrazione che porta il nome di Bossi-Fini, la quale tiene lontani gli americani che vogliono provare l'emozione di una sana vendemmia educativa sui pendii dei colli trevigiani e invece non possono girare tra vitigni e tralci perché, secondo la legge, sono extracomunitari e quindi dovrebbero essere assunti. Ironia della sorte, a denunciare il paradosso, è Luca Zaia, vicepresidente leghista della giunta regionale con delega al turismo."

«È uno degli aspetti che stiamo cercando di correggere con la nuove legge regionale 33 che regola il settore - spiega Zaia - Non è uno scherzo. Gli agricoltori del Prosecco non possono beneficiare del lavoro dei loro ospiti americani, perché bisognerebbe stilare per loro un contratto di lavoro. Le richieste sono tantissime, ma devono rispondere di no».” (da Il Gazzettino del 23 febbraio 2007)

Preciso che la zona di coltivazione del prosecco, nel trevisano, è abbastanza limitata e, quindi, gli agriturismo non possono essere molti. Il periodo della vendemmia si può calcolare in una quindicina di giorni. Non penso proprio che tutti gli agriturismo siano affollati di statunitensi (extracomunitari) che vogliono provare … “l’emozione di una sana vendemmia educativa…”. Quindi il problema è molto limitato, però, è lì che Zaia ha il serbatoio di voti. Dov’è, invece, che la Lega non raccoglie voti: ovviamente a Venezia città e nella sua provincia. E poi, lo sgarro di uno stand a parte! Allora cosa c’è di meglio che dare addosso ad un provvedimento, adottato, già da qualche stagione, dal Comune della città lagunare? Trattasi di un ticket, un pedaggio, che i bus turistici devono pagare per accedere all’interno del territorio comunale, bus turistici che portano a Venezia, nell’arco dell’anno, milioni di turisti che, ovviamente, producono, oltre alla ricchezza per alcune categorie, qualche migliaio di tonnellate di immondizie. E chi paga lo smaltimento di queste immondizie? Tutti i veneziani, anche e soprattutto coloro che non prendono il becco di un euro da quest’afflusso di turisti! Insomma, è, chiamiamola pure con il suo nome, una tassa giusta!

Ma tutto ciò a Zaia non va bene. «Insomma, andrebbe tutto bene - ha aggiunto il vicepresidente della Regione - se non ci fosse quel ticket che Venezia impone ai bus turistici che entrano in città. Un obolo che ha causato una caduta di immagine dell'intero sistema turistico veneto, soprattutto in Germania, dove nei prossimi giorni ci recheremo per una promozione a tappeto nelle maggiori città. Gli operatori delle altre province venete sono preoccupati perché Venezia rappresenta una tappa fondamentale nei loro pacchetti, ma rischiano di ricevere disdette per colpa di quel ticket. Ora valuteremo il modo per ricorrere in sede amministrativa e bloccare la delibera del Comune, perché va contro gli interessi dell'intero sistema veneto». (da Il Gazzettino del 23 febbraio 2007).

“Gli operatori delle altre province venete sono preoccupati perché Venezia rappresenta una tappa fondamentale nei loro pacchetti, …”. Ma scherziamo? Cosa c’entrano gli operatori delle altre province? A parte il serbatoio di voti, Zaia vorrebbe far sì che questi tizi guadagnassero di più a scapito dei cittadini veneziani. Mi spiego meglio: gli albergatori, ma anche altri operatori, delle altre province ospitano comitive di turisti, i quali, ovviamente, sono nella regione soprattutto per visitare Venezia; eliminando il pedaggio per Venezia, pensano di poter avere una maggiore domanda e, quindi, un maggior guadagno.

Questo modo di pensare mi sa molto di sfruttamento. Infatti, a questi operatori non ne può fregare di più della Città (sempre maiuscolo)! Il “voto” sembra offuscare la vista di questi politici che coltivano solo ed esclusivamente il proprio orticello, magari portando via l’acqua agli altri. Eppure è Venezia che è il traino dell’economia turistica della regione: basta vedere le cifre! Su sessanta milioni di presenze (alberghiere) nella regione, ben trentaduemilioni sono della sola provincia di Venezia e, comunque, anche il restante ventottomilioni è formato da turisti che, per la maggior parte, passano per Venezia.

Non si sono fatte aspettare le repliche che riassumo in quelle espresse dal Presidente dell’APT dell’ambito veneziano, Renato Morandina.

«Del resto - ha dichiarato il presidente dell'ambito territoriale di Venezia dell'Apt, Renato Morandina - la provincia di Venezia da sola garantisce 32 milioni di presenze l'anno, più della metà dei 60 milioni di presenze che fanno del Veneto la prima regione italiana nel turismo. E metterci sotto l'ombrello della Regione avrebbe voluto dire ridimensionare le nostre offerte. Abolire il ticket? Zaia sbaglia, perché non dice che in fondo Venezia rappresenta il traino del turismo veneto». (da Il Gazzettino del 23 febbraio 2007).


Vedi le notizie stampa di questi giorni dal B.I.T.


domenica 25 febbraio 2007

Aggiornamenti sul … “problema carnevale” a Venezia.

Evidentemente il problema, perché si tratta giustamente di un “problema”, del carnevale è molto sentito a Venezia.

Anche oggi ne parla ampiamente il maggior quotidiano locale.

Alcuni giorni fa il sindaco ha aperto un dibattito prospettando, addirittura, una “questione morale”; e, sempre lui, ora vuole sentire l’opinione dei cittadini tramite un “sondaggio/referendum” che si attiverà tramite le colonne de Il Gazzettino ed anche con la collaborazione della “Boca de le denunzie ai Savi”. Quest’ultima è una specie di associazione che, raccogliendo, anche sulla pubblica via ed in forma scritta, mugugni, proteste e proposte su ben determinati temi, cerca di scoprire i desiderata dei cittadini, girando il tutto all’opinione pubblica ed alle istituzioni. Debbo dire che qualche volta funziona.

Clicca qui per le ultime notizie stampa su alcune “perle” che un giornalista ha raccolto in tema di carnevale e “l’indizione” del referendum di cui sopra.

venerdì 23 febbraio 2007

Carnevale a Venezia e … “questione morale”

Nel mio post del 16 febbraio, intitolato Carnevale? Grazie, no!, nel quale esprimevo le mie contrarietà alle feste ed alla conseguente “oppressione turistica”, facevo presente come non fosse giusto che il Comune di Venezia sostenesse economicamente detta manifestazione che, invece, porta soldi, e non pochi, nelle tasche di altre categorie che non contribuiscono affatto, o contribuiscono solo in minima parte.

Nel secondo giorno di quaresima, vengono tirate le prime somme da parte delle Istituzioni e, in primo luogo, è il Sindaco, il prof. Massimo Cacciari che chiede: «Si vuole davvero la festa»?

Il primo cittadino arriva a sostenere che, proprio su questa manifestazione esiste una “questione morale”.

Non voglio tediarvi oltre e, quindi, vi rimando alle notizie di stampa.


Cosa dire sulla caduta del governo Prodi?

Certo non mancano i commenti più vari e, quindi, non mi sento di aggiungere nulla a quello che si trova in giro su altri blog .

Per questo vi rimando a http://intersezioni.mioblog.net/index.php/2007/02/23/conferme/ ed a http://minimalessandro.blogspot.com/2007/02/berlusconi-aveva-ragione-siamo-dei.html , il cui titolo esprime molto bene la situazione.

mercoledì 21 febbraio 2007

Dopo le vicende della scorsa settimana, a Raveo si è riunito il consiglio comunale.

Lunedì 19 u.s. si è riunito il consiglio comunale di Raveo, dopo la vicenda del “brigatista” Davanzo che si nascondeva in paese e, ora, la parola d’ordine è: “Non drammatizziamo.”

E’ necessario che il paese vada avanti senza dimenticare, ma, anche, senza creare inutili allarmismi.

Lascio alla cronaca locale un maggiore approfondimento.

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Il Gazzettino - Mercoledì, 21 febbraio 2007 – Edizione di Udine

Raveo, «non creiamo allarmismo»

Il sindaco Ariis dopo la vicenda Davanzo: «Facciamo attenzione ma senza diventare sceriffi»

(F.S.) Messaggio "da" e "a" Raveo dopo la vicenda Davanzo: una condivisione che prende il via dalle parole del sindaco Daniele Ariis.

«Non drammatizziamo - ha invitato ieri sera il primo cittadino al termine del consiglio comunale - Stiamo attenti, responsabilizziamo le persone al rispetto delle procedure fissate dalla legge (e, a questo proposito, sarà affisso un avviso riguardante l'obbligo per chiunque ospiti qualcuno per più di un mese a darne comunicazione entro 48 ore al sindaco, ndg) ma stiamo anche attenti a non passare il segno. Soprattutto considerato che siamo un paese che con l'albergo diffuso e il Parco si vuole aprire al turismo, non creiamo - invita - una mentalità distorta da sceriffo che veda in ogni "forestiero" un potenziale pericolo, un nemico da spiare e interrogare».

Insomma, quel fatidico lunedì 12 febbraio ha certamente scombussolato la vita della comunità di Raveo e della famiglia Bonanni (in sala ieri c'erano Simone, consigliere, la sorella Martina e la fidanzata Daniela). E, mentre si discute al termine del consiglio comunale, numerosi tra i cittadini intervenuti nella sala della latteria si interrogano guardando al passato con occhi ora diversi. Ma su tutto c'è la volontà di non permettere che la vicenda vada oltre.

Il tono si accende quando Valerio Puicher della minoranza afferma che «è il sindaco che, per statuto, deve garantire l'incolumità dei cittadini intensificando i controlli necessari e che, se in ottobre si fosse fatta in relazione ai contributi per il riscaldamento, come da me richiesto, un controllo effettivo dei residenti, alla fine qualcosa sarebbe stata scoperta prima». La risposta di Ariis: «In ottobre Davanzo non c'era e la verifica, comunque, è stata fatta».

Nonostante ciò, pare esserci accordo sulla necessaria ricerca di una via di mezzo, individuata nell'attenzione e nel controllo sociale con l'uso però del buon senso. Questo anche in considerazione del fatto che per tutti la vicenda recente ha rappresentato un caso eccezionale e non altrimenti controllabile.

Anche Simone Bonanni lo sottolinea dicendo «mio padre ha gito in buona fede e non sapeva di questa legge. Ora non esageriamo, tutti sapremo d'ora in poi come comportarci in casi simili».

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sabato 17 febbraio 2007

Precisazioni sul “post” “Auguri a … Raveo”

Il “post” intitolato “Auguri a … Raveo” ha avuto un certo successo sulla stampa friulana; infatti, è stato pubblicato integralmente su “IL MESSAGGERO VENETO”, quotidiano del Friuli, ad integrazione di un articolo del giornalista Maurizio Cescon che, fra i vari commenti sulla notizia dell’arresto del “brigatista” Davanzo, proponeva ai lettori anche la visione dei “blogger” sull’argomento.

Però (c’è sempre un “però”), alcune sue interpretazioni ed anche “correzioni” al testo non mi convincono e, per questo motivo, vorrei fare alcune precisazioni.

Il giornalista, nel proporre il mio “post”, scrive: “ … non le manda a dire … “. Sinceramente questa frase non la capisco; quando uno vuol “mandare a dire qualcosa a qualcuno” si presuppone che, innanzi tutto, esista un “qualcuno”. Il mio “post” non era indirizzato ad alcuno e, quindi, a nessuno voleva “mandare a dire qualcosa”. Si trattava di un semplice augurio agli abitanti di Raveo “shockati” dagli avvenimenti di questi giorni.

A proposito del lemma “shockati”, mi sono accorto che, sulla stampa, è stato cambiato in “choccati”! Capisco questo cambiamento se il termine non fosse stato corretto, ed allora, poiché tutti possono sbagliare, sono andato a controllare sul sito della “Treccani”, alla sezione “Lingue e linguaggi”. Ed ecco cosa ho scoperto:

chocšòk〉 s. m., fr. – Forma francese usata in ital., ma ormai raram., con lo stesso sign. della corrispondente e più com. voce ingl. shock.

shockšòk〉 s. ingl. [propriam. “urto, scossa violenta”, dal verbo (to) shock “percuotere”, che a sua volta è dal fr. choquer, prob. di origine oland.] (pl. shocks 〈šòks〉), usato in ital. al masch.

Quindi, il giornalista Cescon poteva esimersi dall’usare un altro termine, corretto anche questo, ma meno usato di quello del sottoscritto.

Ma, andiamo avanti. Nel mio “post” si trova anche scritto: “ … un’abitante, attenta osservatrice … “ che viene riportata sulla stampa come segue: “ … una abitante, attenta osservatrice …”. Fin dalle scuole elementari ho imparato che l’articolo indeterminato di genere femminile “una”, davanti ad un sostantivo che inizia per vocale, perde la lettera “a” al cui posto si deve mettere l’apostrofo. Ripeto: … scuola elementare!

Forse sarà stato il correttore automatico che si trova sul suo PC, o su quello del giornale per il quale scrive; allora, in questo caso, consiglio di togliere l’automatismo!

Ringrazio, in ogni modo, Maurizio Cescon che ha fatto giungere i miei auguri a tutti gli abitanti di Raveo, anche a coloro che non hanno il PC e non usano internet.

venerdì 16 febbraio 2007

Carnevale? Grazie, no!

Avevo scritto, sul “post” del 9 febbraio che mi sarei preso un breve periodo di pausa dal “blog”; poi, nel box a fianco, ad un intervento sul carnevale avevo risposto che il mio prossimo “post” sarebbe stato su quest’argomento. Allora, dopo l’intermezzo dovuto del “post” su Raveo, mantengo la “promessa”.

Sul “blog” di Sabrina (InsideSab), in data 14/2, c’è un “post” con solo queste parole “Odio il carnevale” alle quali ho posto il mio commento (Sabina li chiama “sguardi”) d’altrettante parole: ”Siamo in due”.

Fatta questa premessa qualcuno potrebbe dirmi: ”Allora, perché un post sul carnevale?”. Ovviamente per … parlane male! (fa anche rima) e, altrettanto ovviamente tratterò sul carnevale che si svolge nella mia città, Venezia.

Un’altra precisazione: in vita mia mi sono mascherato una sola volta, da ragazzino, e non mi sono divertito. Per divertirsi, o per trasgredire come si usa dire oggi, è proprio necessario mettersi in maschera? Perché non fare tutto alla luce del sole? Mascherarsi forse vuol dire mancanza di coraggio? Perché limitarsi al periodo di carnevale, visto che, al giorno d’oggi, è permesso tutto?

Questo “post” non vuole dare alcuna risposta, ma esporre solo quello che io penso del carnevale e, in particolare dell’attuale “Carnevale di Venezia” che vorrebbe (condizionale un po’ dubitativo) somigliare a quello dei tempi della Repubblica.

Quando io parlo di Repubblica, intendo, solo quella di San Marco, la “Serenissima” e senza alcun secondo fine di stampo “leghista” e ciò vale solo per qualche nuovo lettore (a proposito di "Blog” ho scoperto che su questo entrano anche dalla Cina; evidentemente Marco Polo, molto conosciuto da quelle parti, ha lasciato il segno), mentre chi già mi conosce sa che le mie simpatie non vanno in quella direzione!

Ma torniamo al carnevale durante la Repubblica: era un assieme di “panem et circenses” e di “politica estera”. Far divertire il popolo era molto in voga una volta e non solo da parte di singoli despoti, ma anche di una classe dirigente che comandava, un’oligarchia, com’era quella che governava la mia città. Questo per far sì che non pensassero ad altro; quando uno è satollo e si diverte non va a pensare alla politica ed alla libertà.

Per quanto riguarda la “politica estera”, il Carnevale era un modo di far apparire, agli occhi dei visitatori stranieri che erano molti ed anche personaggi di rango, l’importanza e la maestosità della città nata e sviluppatasi nell’acqua, diventata una potenza ricca, sia nel senso stretto del termine come in quello allargato all’architettura ed alle arti d’ogni tipo.

Non è leggenda, ma storia vera, il fatto che quando morì il doge Paolo Renier, la sua morte fu comunicata una ventina di giorni dopo per non interrompere le feste del carnevale. Un canto popolare veneziano, “Povero barba Checo” ricorda, nella seconda strofa, questo fatto. (vedi nota).

Le origini del carnevale veneziano risalgono al X secolo; si sa che il giorno di Giovedì Grasso si ricordava la vittoria del Doge Vitale Michiel sul patriarca d’Aquileia, Ulrico, avvenuta nel 1162. Per ricordare la sconfitta subita, ogni anno i successori del Patriarca dovevano inviare al Doge un certo numero di maiali che venivano uccisi e la loro carne era distribuita tra i nobili, il clero e il popolo. C’erano anche spettacoli con giocolieri e saltimbanchi, fuochi di artificio e il Volo dell’Angelo, detto anche della Colombina, fatto da un acrobata che saliva lungo una fune fino alla loggia del campanile di S.Marco, per poi tornare a terra con un mazzo di fiori da offrire al Doge.

Ma il carnevali di oggi è tutt’altra cosa. Oltre quarant’anni fa erano solo i bambini che andavano in Piazza San Marco, il giovedì ed il martedì grasso, in maschera, a gettare i coriandoli e le stelle filanti. Poi, qualche “bambino cresciuto” pensò che oltre ai coriandoli si poteva gettare anche farina e, perché no, uova; il tutto addosso ai passanti e, soprattutto, alle signore in pelliccia.

Per qualche anno, in quei giorni, la città era in mano alla teppaglia ed era rischioso muoversi. Allora, per cercare di togliere spazio a costoro e rendere più vivibile la città, le istituzioni pensarono di creare delle manifestazioni “ufficiali” di carnevale, anche per richiamare turisti in un periodo che veniva definita “bassa stagione” (oggi a Venezia è “alta stagione” tutto l’anno).

Fu così che iniziò la tradizione del carnevale Veneziano “moderno”. “Happening” di maschere in Piazza ed in altri luoghi aperti, balli all’aperto, musica, teatro e molto altro, questi gli ingredienti degli ultimi dieci giorni di carnevale a Venezia. La maggior parte di tutto ciò si riduce ai due fine settimana, al giovedì ed al martedì grasso, concentrando l’arrivo delle folle in questi giorni.

Nell’ultima domenica (penultima di carnevale) sono arrivate in centro storico centomila persone creando, ovviamente, problemi.

Oltre agli intasamenti (le vie, chiamate calli, sono strette) ed al super affollamento nei vaporetti, c’è da tener presente che centomila persone, in una città di solo sessantamila, producono anche una notevole quantità di residui e di sporcizia.

Veniamo alle note negative: chi paga tutto questo? Chi ci guadagna?

Rispondo subito alla seconda domanda: non io e tutti coloro che, come me, non vivono di turismo. Allora diciamo chi sono coloro che, magari, vorrebbero un carnevale più lungo: albergatori (si lamentano sempre e poi non c’è un posto libero), i pubblici esercizi (i prezzi sono sempre più cari che nelle altre città e non sempre viene rilasciato lo scontrino), i gondolieri (questi non rilasciano scontrini “ope legis”), gli affittacamere, gli affitta-residenze ed i “bad & breakfast” (queste tre ultime categorie “lavorano” spesso in “nero”), ed in negozianti in genere.

Chi paga? Ovviamente tutti i cittadini (anche il sottoscritto), sia per i soldi sia le istituzioni pubbliche impegnano per organizzare e gestire la festa (gli “sponsor” privati sono pochi ed anche non veneziani), sia per le maggiori spese sostenute dall’azienda della nettezza urbana che, a Venezia, è tutta manuale.

Alcuni veneziani, quelli che hanno la possibilità, in questi giorni lasciano la città e vanno in montagna; chi resta deve sopportare e subire. E non sto a descrivervi gli inconvenienti di chi resta. Qualche anno fa, uscendo da casa, mi sono trovato uno davanti la porta che … orinava. Ma senza cogliere qualcuno in fragrante “delitto” restano sempre i “corpi di reato”!

Il veneziano che si deve spostare per lavoro o per qualsiasi altra incombenza si trova, spesso, impossibilitato a salire sui vaporetti perché già oltre il limite di sicurezza.

A volte qualcuno protesta, magari in malo modo (i maleducati sono dappertutto), però, a volte si raggiunge l’esasperazione.

Non voglio scrivere altro perché qualcuno non dica che sono un brontolone; se volete cliccate qui per un articolo de Il Gazzettino ed una lettera di una turista che protesta, inviata allo stesso giornale.

E, se volete, andate ad impazzire con il carnevale, … ma non venite a Venezia.



Nota - El Barba Checo

Povero barba Checo / che l’è casùo in canale, / senza saver nuàre / al s’ha negao.
Me l’ho recuperao,/ me l’ho messo qua drento / par darghe spassio e tempo / al carnovale.
No l’ha vuolesto stare, /l’ha vuolesto ‘ndar via, / e si al se perdarà, / sarà so dano.
Revédarse ‘naltr’ano, / tegnìve a mente questo / e può ve dirò resto / e resto in pase...

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mercoledì 14 febbraio 2007

AUGURI a … RAVEO!

Nel leggere le cronache di questi ultimi giorni, qualcuno dei lettori di questo “blog” si sarà chiesto dove aveva già sentito nominare il paesino (qualcuno lo ha definito, nella stampa, “villaggio remoto”) di Raveo, il luogo diventato famoso per l’arresto del “brigatista rosso” Davanzo.

Non sforzatevi troppo! L’avete letto su questo “blog” (vedere i “post” del 2006 elencati più sotto) ed anche nel mio sito, dove c’è una sezione dedicata .

Purtroppo, in questi giorni, Raveo (489 abitanti –compresa la frazione- dicono su Wikipedia ), in Carnia, è diventato famoso, perché lì si nascondeva il Davanzo. E dico “purtroppo” perché i suoi abitanti sono rimasti “shockati” dell’accaduto e passerà, senz’altro, parecchio tempo prima che tutto sia metabolizzato e, quindi, passato fra i ricordi, nella storia del paese.

Conosco bene Raveo ed i suoi abitanti, e questo non da ieri o dall’altro ieri, ma da oltre quarant’anni; perciò mi sento quasi obbligato a sostenere che un fatto così “negativo” non se lo meritava. I suoi abitanti, come la gran parte dei carnici e degli abitanti di montagna in genere, sono inizialmente schivi, ma pronti e disponibili a dare una mano, se necessario, anche a chi non è del paese. Ovviamente, in questo caso, tutta la comunità, anche se il Davanzo era lì da poco tempo ed ai più risultava un perfetto sconosciuto, si sente tradita.

“ … Lo specchio dell'anima di Raveo è andato in mille pezzi ed in questo momento di smarrimento, un po’ ci si lecca le ferite, amareggiati per non esserci accorti di nulla. …”. Così mi scrive un’abitante, attenta osservatrice di quanto accade nel suo paese, che, in questa frase, sintetizza egregiamente lo stato d’animo della comunità.

Tornerò presto a Raveo, ma, nel frattempo, voglio augurare, a tutti gli abitanti, di poter lasciare ancora aperta la porta quando escono da casa.

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Altri “post” su Raveo

http://sp1938.blogspot.com/2006/09/raveo-prima-puntata.html

http://sp1938.blogspot.com/2006/09/raveo-breve-cronistoria-della.html

http://sp1938.blogspot.com/2006/10/raveo-cava-di-gesso-seconda-puntata.html

venerdì 9 febbraio 2007

Pausa

Per qualche giorno avrò altro da fare e, perciò, non immetterò "post" nel "blog".
In primo luogo mi mancano gli stimoli, poi sto leggendo un bel libro ("Ebano" di Kapuscinski) ed un altro ("Era ieri" di E. Biagi) mi aspetta.
E poi, a dire il vero, scrivere su "Pacs"(o DICO), "Violenza nel calcio", "Frivolezze berlusconiane" et similia, ... proprio non m'interessa!

A presto!

mercoledì 7 febbraio 2007

Il Coro Marmolada ha, finalmente, una nuova sede.

Questo pomeriggio ho partecipato, anche come persona interessata, alla consegna dei locali della nuova sede del Coro Marmolada di Venezia.

Premetto che sono locali per i quali il coro pagherà un regolare affitto al Comune di Venezia, in conformità a tariffe a suo tempo stabilite per la concessione ad associazioni varie.

Perché questa nuova sede? Il coro era, ormai da qualche anno, invitato a lasciare liberi i locali, o meglio il locale, che dal 1991 serviva come luogo dove effettuare le prove.

Ora si può affermare che, finalmente, dopo cinquantotto anni, il Coro Marmolada ha una sede dignitosa!

Ha presenziato alla consegna l’assessore comunale al Patrimonio ed ai Lavori Pubblici Mara Rumiz, nonché alcuni funzionari ed il titolare della ditta che ha effettuato i lavori di ripristino, forse è meglio definirlo recupero e salvataggio, dell’immobile.

L’assessore ha espresso il compiacimento suo e dell’Amministrazione Comunale nell’assegnazione di questi locali ad un’associazione che, da parecchi anni, opera nell’ambito della cultura musicale della città, invitando la stessa a continuare, allargando la propria attività anche ai giovani ed alle donne.

Il lavoro di recupero è stato particolarmente complesso perché i locali, smessi da parecchio tempo e, quindi, degradati, presentavano un accumulo di materiale vario notevole tanto da richiedere ben diciotto burchi (grosse barche da trasporto) per liberare l’area di centosessanta metri quadri. Inoltre è stata necessaria la sostituzione e/o il consolidamento di numerose travi portanti. Attualmente la sede è formata da una sala di circa settanta metri quadri, insonorizzata e preparata acusticamente, da un’altra stanza da adibire a segreteria, una ad uso ripostiglio ed un’altra da poter usare in caso di prove divise per voce.

Il maestro, che dal 1950, come corista, e dal 1952 come direttore, ha portato avanti il complesso, ha ricordato, dopo aver ringraziato, il peregrinare attraverso le più disparate sedi del coro (ne ha enumerate ben tredici), per lo più ospiti presso patronati ed anche magazzini.

Ora, finalmente il Coro Marmolada ha una propria “casa” e l’attività sarà senz’altro maggiore. L’entusiasmo non manca!

martedì 6 febbraio 2007

Fa sul serio, o scherza? Purtroppo ... fa sul serio!

Anche questa volta il “vostro” (non il mio) Silvio non ha voluto fermarsi prima che sia troppo tardi e, in quel di Monza, mentre presentava il candidato a sindaco di quella città, ha dato via alla solita sequela di stupidaggini (eufemismo)!

Capisco che uno, invecchiando, perde un po’ di lucidità mentale, ma, quanto detto, rasenta il limite dell’Alzheimer!

Possibile che nessuno, nemmeno Veronica, lo riesca a fermare? Riporto, qui sotto, l’articolo di Repubblica.it del 6.2.2007 che racconta tutte le “amenità”: non poteva più parlare di donne, ed allora …..

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Nuove battute e gaffe del Cavaliere, intervenuto all'apertura

della campagna del candidato sindaco di Monza

Berlusconi: "Non parlo più di donne e i gay sono tutti dall'altra parte"

Grillini: "Magari fosse vero! Lavoro perché la sua profezia si avveri"

Luxuria: "Sicuramente quelli di sinistra sono dei coglioni gay..."

MONZA - Nuova gaffe di Berlusconi, che questa volta prende di mira i gay che, sostiene, "sono tutti dall'altra parte". Intervenendo alla campagna elettorale del candidato sindaco di centrodestra a Monza, Marco Mariani, il Cavaliere ha prima fatto riferimento alla recente polemica con la moglie, Veronica Lario, che qualche giorno fa gli ha chiesto scuse pubbliche in una lettera inviata a Repubblica. "Come vedete - ha detto al pubblico del Teatro Manzoni, tenendo una mano sulla spalla del candidato sindaco - siamo due vecchietti. Se fossimo delle donne per noi andrebbe meglio, visto che esistono le creme, la chirurgia estetica, ecc. Ma certe cose non posso più dirle...".

Poco prima rivolgendosi ai giovani presenti aveva detto che ai suoi tempi "era già un centravanti di sfondamento e oggi mi sento più giovane di molti di voi che siete qui in sala".

Ma Berlusconi non si è limitato a tirare in ballo nuovamente "le donne". Prendendo spunto dal secondo nome del candidato sindaco, Maria, ha osservato: "A me Marco Mariani piace anche perché ha come secondo nome Maria, il che dimostra che ha un intuito simile a quello delle signore. E' positivo perché le donne capiscono cose che noi uomini non capiamo. Gli uomini arrivano sempre dopo. Le donne hanno più intuito,

quell'intuito tipicamente femminile che non hanno gli uomini e nemmeno i gay. Ma i gay - ha concluso Berlusconi - sono tutti dall'altra parte...''.

Le reazioni. "Magari fosse vero", ha replicato Franco Grillini, deputato dell'Ulivo e presidente onorario dell'Arcigay. "Diciamo che è vero in parte. Di certo i gay non votano per i partiti clericali, ma dalle ricerche che abbiamo fatto noi sotto elezioni, c'è una parte consistente che vota per il centrosinistra e c'è un'ulteriore parte che vota per il partito Radicale o Rosa nel Pugno. C'è però una consistente minoranza che continua ad esprimere il suo consenso per Forza Italia e An. Proprio per questo, ribadisco, magari Berlusconi avesse ragione!". "E in ogni caso – ha concluso Grillini - lavoro perché la profezia di Berlusconi si avveri".

"Sicuramente quelli di sinistra sono dei coglioni gay - ha replicato il deputato transgender di Rifondazione comunista Vladimir Luxuria - Da parte nostra si registra un maggiore orgoglio omosessuale rispetto ai gay che stanno nel centrodestra". "Una battuta poco elegante - ha proseguito Luxuria - e di certo non farà piacere all'associazione Gaylib. Peccato che, come lui sa bene, ci sono molti gay anche nel centrodestra.

D'altronde, l'omosessualità non è un fenomeno endemico che ha l'esclusiva di un partito politico".

Più severo il commento del capogruppo dei Verdi alla Camera Angelo Bonelli: "Berlusconi è incappato in un'altra caduta di stile, ma al suo posto non sarei così sicuro che i gay stiano tutti a sinistra. Il leader di Forza Italia si guardi intorno, anche tra i suoi uomini più fidati, che proprio etero non sono. Da oggi ci auguriamo che passino tutti nell'Unione. Questa infelice battuta dimostra che si farebbe qualunque cosa per fermare la legge sulle unioni civili".

"Ogni qualvolta Berlusconi tenta di rendersi simpatico, manca l'obbiettivo - ha osservato Enrico Oliari, leader di GayLib, l'associazione che raccoglie gli omosessuali della CdL e militante di Alleanza Nazionale - Sostenere che i gay stanno solo a sinistra ridicolo, l'omosessualità non ha colore. Non vorrei che certe battute del presidente Berlusconi ci facciano perdere nuovamente le elezioni per ventimila voti, magari di gay

stanchi della sua omofobia".

Ironico il leader Udc Pier Ferdinando Casini: "Domani sarà la prima notizia...". E ancora: "Davvero ha detto questo? Allora domani sarà costretto a scrivere un'altra lettera di scusa...". Altrettanto sarcastico il responsabile informazione della Margherita Renzo Lusetti: "Silvio Berlusconi non finisce mai di stupire. Consiglio al direttore di Repubblica, Ezio Mauro, di lasciare uno spazio in pagina per le pubbliche scuse...".

Non è la prima volta che Berlusconi 'inciampa' su battute legate all'omosessualità. E' l'aprile del 2000 quando dalla 'Nave azzurra' racconta una barzelletta che scatena l'ira di molte associazioni gay. "Un malato di Aids va dal medico e gli chiede: 'Dottore cosa posso fare per la mia malattia?'; il medico risponde: 'Faccia delle sabbiature'. 'Ma dottore, mi faranno veramente bene?'. 'Bene no, ma sicuramente si abituerà a stare sotto terra". Le polemiche travolgono la crociera elettorale di Berlusconi con la violenza di uno tsunami.

Passano gli anni, ma non la voglia di umorismo del Cavaliere.

E' il marzo del 2005. Al termine di un estenuante vertice europeo a Bruxelles, Berlusconi esce dal palazzo del Justus Lipsus evitando accuratamente dichiarazioni politiche, ma non le battute: "Se uno vuole santificarsi in Italia deve essere sia gay che di sinistra...". E giù, nuove polemiche. L'ultima battuta, nel maggio dello scorso anno. Ad Arcore per presentare il candidato sindaco Marco Rocchini, Berlusconi torna

sull'argomento: "Mi hanno accusato di tutto: mi hanno dato del mafioso e della persona poco perbene, tranne che sono gay...".

Pacs, infatti, ha lasciato libertà di coscienza ai suoi deputati sottolineando più volte però che "non si devono in alcun modo discriminare gli

omosessuali".

(6 febbraio 2007)

lunedì 5 febbraio 2007

Don Armando Trevisiol: un prete che non si ferma.

Don Armando Trevisiol è un sacerdote molto conosciuto a Mestre ed a Venezia, anche al di fuori degli ambienti cattolici.

Io non lo conosco personalmente, ma solo attraverso le sue opere, che, penso, sia giusto farle conoscere anche oltre l’ambito del comune di Venezia.

Questo sacerdote ha retto la Parrocchia dei SS. Gervasio e Protasio a Carpendo, nell’ambito di Mestre, per parecchi anni e, da poco, ha dovuto lasciarla per … “limiti d’età”. E fin qui la sua storia è molto simile a quella di moltissimi altri preti. Ma, non è … andato in pensione; nessuno se l’aspettava. Negli anni passati, pur continuando a reggere la parrocchia, ha messo in piedi delle vere e proprie “istituzioni” a favore di chi si trova in difficoltà per i più disparati motivi.

Ha iniziato con la costruzione di un centro, chiamato “Don Vecchi“ in memoria di un altro sacerdote, per ospitare anziani autosufficienti e no; poi sono venuti su il “Don Vecchi bis” ed anche il “tris”! Nel frattempo ha organizzato i negozi ed i magazzini solidali nei quali non viene regalato nulla, ma è pagato quello che uno può; si va dai generi alimentari ai vestiti ed al mobilio. Il tutto funziona a meraviglia, già da alcuni anni, con l’aiuto di parecchi volontari.

Ovviamente, poiché Don Armando trasformava i progetti in realtà, di solito in breve tempo, ha sempre trovato chi lo aiutava, a cominciare dai suoi parrocchiani, ma non solo; singoli privati, associazioni varie ed anche il Comune di Venezia hanno contribuito alla crescita dei vari progetti.

Nessuno credeva che questo prete, una volta in “pensione”, si sarebbe fermato, e così, infatti, non fu.

Leggo su “Gvonline” (vedi articoli 1 e 2) che ha già in mente qualcos’altro: alla fine dell’anno inizierà a funzionare il nuovo ospedale di Mestre, un ospedale che sarà all’avanguardia, anche per la tecnologia -ma non solo- e che, quindi, attirerà pazienti da altre regioni. All’interno dell’ospedale stesso sono previsti dei "posti alberghieri” per i parenti dei pazienti non residenti, posti gestiti da privati, che costeranno una cifra non alla portata di tutte le tasche. Il nuovo complesso ospedaliero è stato costruito con la formula del “project financing” cosa che fa sì che tutti i servizi siano in mano ai privati che, in questo modo, recupereranno i capitali investiti.

Che cosa è venuto in mente a Don Armando, avendo avuto in regalo un terreno agricolo, proprio nei pressi del nuovo ospedale, di diecimila metri quadrati? Costruire un qualcosa che, almeno in parte, possa considerarsi una foresteria per i parenti dei pazienti ovviamente a buon prezzo; si parla di dieci euro il giorno. C’è già il nome: “Il samaritano”. Bella, bellissima idea alla quale tutti plaudono, però … . C’è sempre un però! Trattandosi di terreno agricolo è necessaria una “variante urbanistica” cosa a carico del Comune. L’assessore dice di voler vederci chiaro, non tanto nella proposta di don Armando, quanto nella destinazione di tutte le aree nei pressi dell’ospedale. (Vedi articolo)

Il complesso ospedaliero andrà a pieno regime nei primi mesi del 2008 e se, nel frattempo, non si sbloccherà l’iter burocratico chissà quanto dovrà attendere l’anziano ex parroco.

Non rimane, quindi, che augurare a don Armando di vedere partire, e concludere, presto l’iter burocratico; al resto ci penserà lui!

sabato 3 febbraio 2007

Non è ammissibile che si continui con la violenza delle tifoserie!

Premetto che non sono un tifoso, non lo sono mai stato. Forse, per questo motivo, qualcuno potrà pensare che quanto dirò sul calcio sia scontato.

Sono molti anni che la violenza infesta il mondo del calcio e nessuno, di destra, di sinistra e di centro, non ha mai preso qualche provvedimento serio che neutralizzi queste azioni criminose. Se non hanno provveduto le istituzioni, ancor meno hanno creato le società, che, essendo le principali interessate, dovrebbero estirpare questo “cancro” delle tifoserie esagitate. Invece sembra che si comportino esattamente all’opposto. Il solo fatto di sovvenzionare le più diverse associazioni (circoli, club) di tifosi, è già un qualcosa d’anomalo. Ma dove è scritto che questi disgraziati devono avere i biglietti a prezzo ridotto? Perché, in molti casi, sono organizzati treni e pullman di tifosi? Perché tutti noi dobbiamo pagare i danni che ci ritroviamo sui treni, nelle stazioni e per le strade? Perché deve essere lo Stato a spendere per mantenere un ordine che, derivando da interessi privati, dovrebbe, invece, essere a carico delle singole società?

Condivido al 100% le proposte che Beppe Severgnini fa sul Corriere (clicca qui), e, anzi, n’aggiungerei qualcun’altra!

Se non si riuscirà ad attuare la proposta n.1, allora bisognerà dare alle forze dell’ordine la possibilità di far uso dell’idrante; lo adoperano in altri stati europei e non vedo perché non si possa farne ricorso anche in Italia.

Le pene devono essere aumentate e tutte le misure di protezione, sia prima che avvengano certi fatti, ma anche dopo, devono essere a carico di società, “sponsor” ed anche calciatori.

Se poi questi delinquenti -maggiorenni o minorenni sempre di delinquenti si tratta- devono essere “recuperati”, e non semplicemente buttati in carcere, tutte le spese devono essere sostenute, solo ed esclusivamente, dai soggetti appartenenti a questo mondo del calcio.

È evidente che le pene inflitte devono essere severe e non possono essere soggette a diminuzioni.

Ogni volta che succedono fatti come quelli di Catania saltano fuori tante proposte, sia da parte dei politici che dei dirigenti le federazioni, ma, purtroppo, non vanno più in là di una settimana, il periodo di sospensione del campionato, e, alla ripresa, tutti dimenticano e tutto torna come prima.

Speriamo che questa sia l’ultima volta!




venerdì 2 febbraio 2007

È ancora vera informazione quella che si fa nel nostro Paese?

Già in passato, in questo “blog”, ho avuto modo di trattare sull’argomento “informazione” (vedi 1, 2 e 3).

Ritengo la categoria (li metto tutti assieme) non più capace, salvo rare eccezioni: editori di giornali, proprietari di Tv, direttori vari e, non ultimi, anche i giornalisti non fanno più il loro mestiere, come lo sapevano fare una volta.

Gli editori ed i padroni di Tv, lo sappiamo, hanno altri interessi: il lettore o l’ascoltatore, in qualità d’ultimo e più importante utilizzatore del prodotto, non è più al primo posto dei loro pensieri perché, invece, sono i tornaconti personali o di potenti gruppi economici che vengono in primo luogo. Vengono poi i direttori, servi del padrone e del politico che gestisce quella fetta di potere; anche per loro l’ascoltatore/lettore non è ai primi posti.

Lo stesso vale anche per i giornalisti, ossequenti al direttore ed ai politici. Nessuno ha più il coraggio di compiere inchieste, e stanno ad attendere l’”agenzia”, che poi verrà commentata -e basta- magari indirizzandola.

Questi signori si prendono la briga di spostare le notizie, di nasconderle -se necessario- in modo da condurre chi legge, o chi ascolta, su ben determinati binari. Fanno opinione, si dice oggi, come se ognuno non fosse in grado di crearsi un’opinione propria … senza gli “aiutini”!

“Si prega di abolire le notizie per non disturbare le opinioni” questo è il sottotitolo dell’ultimo libro di Marco Travaglio, giornalista pure lui, e, forse, non indenne da questo modo di operare. Il merito di questo libro ("La scomparsa dei fatti") non è quello di raccontarci storie sconosciute, ma quello di elencarle e di ricordarle perché, invece, sono facili da dimenticare e ci sono molti contenti che tutto ciò passi.

“Se in America” –scrive Travaglio- “il giornalismo è il cane da guardia del potere, in Italia è il cane da compagnia. O da riporto”.

Parole giuste che, ovviamente, devono portarci a riflettere: siamo ancora in una democrazia reale o, invece, siamo in una democrazia “guidata”?

Anche i giovani che intraprendono questa professione si trovano spiazzati; il loro entusiasmo per un lavoro che, obiettivamente, è da considerarsi un “bel lavoro”, viene presto buttato alle ortiche per il precariato che consiste, soprattutto, in un lavoro a cottimo: tanti articoli per la classica “pipa di tabacco”! E quindi, anche molti di loro, pur animati da buone intenzioni, sono costretti a seguire i sentieri già battuti dai professionisti dell’informazione, sempre che si possa chiamare ancora informazione.

In un articolo su “GVonline”, emanazione di “Gente Veneta”, settimanale de Patriarcato di Venezia, il direttore Sandro Vigani, nel trattare l’argomento scrive, fra l’altro, quanto segue: “ … Quando parlo con questi giovani pieni di entusiasmo e li incoraggio a stringere i denti e andare avanti, mi viene da pensare alla situazione del giornalismo italiano. Un giornalismo lontanissimo dalla freschezza e dalla voglia di fare di questi giovani, colpito da una pericolosa atrofia, stanco ed ingessato. Di solito si dà la colpa al sistema, ai monopoli dell’informazione, alla politica, agli editori... ma nessuno mi toglie dalla testa che sia anche colpa dei giornalisti! Vedo molti giornalisti, anche di fama, sempre più lontani dai problemi veri della gente, dalla sua vita... a meno che non si creda che la vita gente sia fatta soprattutto di politica e di gossip. Giornalisti che fanno gli articoli solo sui lanci d’agenzia, non fanno più inchieste serie. Giornalisti che propongono ‘importanti’ analisi sociologiche a partire da indagini statistiche da salotto, fabbricate su campioni di qualche centinaio di persone. Giornalisti che diventano intrattenitori, presentatori, showman, imbonitori… e trasformano l’informazione – spesso anche il dolore - in inutile spettacolo. Paladini di un presunto diritto/dovere di cronaca, in nome del quale scavano con violenza nella vita privata dei cittadini per mettere in piazza le loro tragedia. Grandi firme strapagate della stampa italiana - baroni dell’informazione, che nessuno può toccare – che si ergono a moralizzatori della società senza averne il titolo e il mandato... e spesso neanche la stoffa. Giornalisti che fanno i parlamentari di partito e continuano a fare i giornalisti. Giornalisti che riempiono pagine sulla politica del Paese senza dichiarare apertamente da che parte stanno. Giornalisti che confondono l’informazione con l’opinione, il commento con il racconto dei fatti. … ” (vedi articolo completo)