sabato 30 dicembre 2023

La villotta “Ste ariete” di Arturo Zardini - Precisazioni e aggiornamenti

La villotta “Ste ariete” di Arturo Zardini

Precisazioni e aggiornamenti

di Sergio Piovesan


 

“Ste ariete” è il titolo dell’ultima composizione dei Arturo Zardini ed è datata 11/8/ 1922; ammalatosi poco dopo, fu ricoverato all’ospedale di Udine dove morì il 4 gennaio successivo.


Nel 2017 il nipote, Giuliano Rui, mi passò la partitura della villotta in questione, non l’originale autografa, ma una “copia conforme” così come scritto in basso a destra con la firma di chi aveva eseguito la copia, Polano (vedi foto a lato).

Questa villotta non era mai stata edita e, quindi, dopo averla trascritta, l’ho pubblicata, assieme ad altre composizioni zardiniane, in un opuscolo “on line” dal titolo “Stelutis alpinis, ma non solo” sotto l’egida del Coro Marmolada di Venezia nel dicembre del 2017. Detto opuscolo lo si può reperire e scaricare sia dal mio sito personale([1]), sia da quello del coro([2]). 

La partitura non porta l’autore del testo, di una sola strofa, e, per questo motivo, ho ritenuto che fosse dello stesso Zardini. Solo di recente sono venuto a conoscenza che l’autore del testo è Pietro Zorutti (1793-1867), poeta friulano antecedente a Zardini.   

Nel giugno del 2023, sulla rivista Choralia dell’USCI FVG, è stata pubblicata la trascrizione di F.Colussi della stessa villotta, anche questa copiata dal medesimo documento in “copia conforme”, con il testo friulano completo di quattro strofe e con la traduzione in italiano.

Nella mia prima edizione della sola unica strofa, al terzo verso avevo copiato “ogni stele è une cjandele” cioè interpretando la grafia con il verbo “è”, mentre scopro che lo stesso verso riportato da Colussi è “ogni stele à une çhandéle” usando il verbo avere come si scriveva oltre un secolo fa (à invece di ha). Senza scendere nei particolari della grafia friulana che, come tutte le lingue, si modifica nel corso dei secoli, mi sembra più corretto usare il verbo essere in quanto il significato può essere, in italiano, “ogni stella è paragonabile a una candela”. Incuriosito dalla questione, ho voluto approfondire è sono andato alla ricerca del testo originale di Zorutti. 


Con mia fortuna ho trovato, in una biblioteca digitale estera, la copia di immagini fotografiche, in pdf, di una pubblicazione datata 1857([3]), cioè con l’autore ancora in vita, dove il verbo usato mi dà ragione e questo si può constatare nell’immagine della pagina precedente.


Nell’ultima pubblicazione a stampa, edita, in occasione del centenario della morte di Zardini, con il supporto del Comune di Pontebba e lì presentata il 16 dicembre 2023, da me curata e intitolata   “Tutto Zardini”([4]) la villotta   “Ste ariete” riporta l’autore del testo Pietro Zorutti, ma il testo è ancora della sola prima strofa in quanto il libro era già stampato quando sono venuto a conoscenza del testo più ampio. Per questo motivo riporto, di seguito, le due pagine della partitura aggiornata da me strascritta.  

 

    

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[3] “Poesiis” di Pieri Zorutt, Vol. II,  Udin, Stamparie Vendram, 1857, pagg. 323-324, fa parte di una scena teatrale dal titolo “Il trovatore Antonio Tamburo”, che inizia con questo brano cantato da un coro di artigiani udinesi

 

[4] La pubblicazione può essere richiesta , fino ad esaurimento, al Comune di Pontebba che la invierà gratuitamente al richiedente





mercoledì 24 marzo 2021

1600° anniversario della fondazione di Venezia

 

 1600° anniversario

della fondazione di Venezia

Secondo la leggenda e la tradizione, la città di Venezia vide la sua nascita il 25 marzo 421; il giorno scelto è quello dell'Annunciazione e questo portò a considerare l'evento un qualcosa di quasi divino e ciò fu alimentato, nei secoli successivi, anche da parte delle istituzioni statali della Serenissima per motivi politici e di esaltazione della storia patria.

Sono passati milleseicento anni da quella data, anche se sappiamo che Venezia si sviluppò, invece, nel corso di parecchi anni, forse secoli, prima e dopo il 421.

Le cronache, ma anche riscontri archeologici, hanno dimostrato che le isole della laguna erano popolate da pescatori e da chi lavorava nelle saline da molto prima e via via la popolazione incrementò quando gli abitanti delle città venete, a seguito delle numerose invasioni barbariche, fuggivano riparandosi appunto nelle diverse isole della laguna. Molto spesso, passato il pericolo, i fuggiaschi rientravano nelle loro terre d'origine spesso teatro di distruzioni. Nel V e VI secolo, a seguito dell'invasione degli unni, particolarmente feroci, e poi dei longobardi, che invece si stanziarono nel territorio, i fuggiaschi si fermarono in laguna iniziando così a costruire case e chiese, dapprima nelle isole periferiche e più vicine ai luoghi di origine e poi in quelle centrali, le isole realtine, al centro della laguna e ritenute più sicure.

Quindi in quest'anno 2021 ricorre il 1600° di fondazione e, come tutti gli anniversari "tondi", è giusto ricordare l'evento.

Che cosa farà il Comune di Venezia, che ha anche creato un comitato per organizzare eventi per il ricordo di questo, non è ancora dato a sapere; forse la pandemia ha rallentato le idee e, comunque, a mio parere, gli eventi dovrebbero essere soprattutto di carattere culturale, partendo dalle ricerche storiche e dai più importanti fatti politici della Serenissima. Quello che non ritengo opportuno, che voci ("co' ghe xe le vose ghe xe le nose") circolanti indicano come in programma vi siano concerti -non si sa di cosa- in Piazza e il Salone Nautico. C'è poco da sperare dalle mosse dell'Assessore al Cultura del Comune che poi è anche il Sindaco:

A parte le polemiche, ritengo quindi sia giusto ricordare e studiare alcuni periodi nei quali forme artistiche diverse, pittura, architettura, musica e quant'altro, nacquero e si svilupparono. Ma su questo campo tutto tace!

 

Per quanto mi riguarda, vorrei ricordare quest'anniversario incentrandomi sulla musica e sul canto che, in tutti questi anni, sono nati nella nostra città. Vari generi musicali hanno visto la luce sia quelli oggi cosiddetti "colti" sia "popolari". Fra i primi, la Cappella Marciana in attività fin dal XIV secolo e che, ancor oggi, è attiva (proprio domenica 21 ha registrato un bellissimo concerto, registrazione messa in onda su Radio Rai 3 la sera stessa). Poi abbiamo numerose composizioni ed esecuzioni di musica sinfoniche, operistiche e da camera, esportate in tutto il mondo con le stampe delle partiture.

Ma fra la cosiddetta musica e canto popolare a Venezia, senz'altro ci fu una nutrita produzione, in gran parte solo orale e, per questo, oggi non si trova molto materiale musicale scritto; esistono, invece, raccolte di testi dei canti e filastrocche popolari edite soprattutto nell''800 ([1]).

Invece esiste un particolare genere musicale, sviluppatasi nella prima metà del '700, che ebbe una notevole visualità, non solo in quel secolo, ma anche nel successivo, un genere che prese il nome di "Canti da battello veneziani".

Popolare per modo di dire; infatti, non nasce propriamente dal popolo, ma si tratta di musiche e testi, le prime composte da musicisti e i secondi da poeti, famosi all'epoca che vollero, però, restare anonimi perché ritenevano queste loro "opere" cose di poco conto. Questo però non voleva dire che non fossero pagati. Infatti, si tratta, nella quasi totalità, di opere commissionate da altri che potevano essere innamorati che così volevano esprimere la loro passione amorosa verso una donna o verso più donne; ma chi chiedeva potevano essere anche gli esecutori, normalmente un o, più spesso, una cantante e alcuni suonatori di violino, violoncello e basso e altri strumenti. Queste ultime erano richieste perché il fenomeno di questo genere musicale ebbe subito un notevole successo nella Venezia godereccia del XVIII secolo, non solo fra i veneziani ma fra i turisti di allora e fra gli stranieri residenti.

Allora Venezia era «..."sonorizzata" diffusamente da quell'infinito e soprattutto notturno "cantare nelle piazze, per le strade, nei canali" di goldoniana memoria. ... », come scrive Giovanni Morelli nella ponderosa pubblicazione della Regione del Veneto ([2] . E questo andare in barca nei canali con musiche e canti presero poi il nome di "freschi".

Fra gli stranieri residenti va ricordato Jean-Jacque Rousseau ([3]) che fu un ammiratore entusiasta  del genere. Come lui altri stranieri furono attratti da questi canti "popolari" tanto che, già nel 1742, 1744 e 1748, a Londra le canzoni veneziane da battello vennero pubblicate in tre raccolte col titolo di "Venetian Ballads" ([4] .

Le partiture, riproduzioni anastatiche degli originali, pubblicate nei due volumi di cui alla nota n. 2, sono 970 quelle raccolte in Venezia in vari archivi e altre 190 delle tre edizioni londinesi.

Le partiture in questione sono manoscritte, e molto spesso, di difficile lettura vuoi per la grafia vuoi per l'usura del tempo. Per quanto riguarda i testi nella partitura questi si riferiscono solo alla prima strofa mentre tutte le altre strofe (sei e anche sette) si trovano in uno dei due volumi.

I testi sono in un veneziano abbastanza italianizzato o, più precisamente, toscanizzato; infatti, ad esempio, mentre nel veneziano si può dire che non esistono le doppie, in questi, invece, sono di uso quasi totale. Molto spesso mancano gli accenti e anche altre caratteristiche del veneziano. Per quanto riguarda poi le edizioni londinesi, in queste vi sono molti errori di testo.

Accennavo prima alla presenza di stranieri residenti in Venezia; alcuni erano anche di passaggio, ma molti vivevano per lavoro, generalmente mercanti. Per questo troviamo dodici canti in francese ([5]) e anche uno con termini tedeschi ([6])  e anche un altro in cui il protagonista è un mercante armeno ([7]).

In genere possiamo definire i canti da battello come espressioni amorose, dove si sente l'innamorato spasimare per le sua donna della quale enumera le bellezze e le buone qualità; alcuni poi si richiamano a personaggi mitologici, soprattutto ninfe e semidei, riprendendo le leggende che trovarono successo nelle opere liriche secentesche.

Pur essendo sempre protagonista l'uomo, tuttavia le partiture, eccetto solo nove in chiave di tenore ([8]), sono scritte in chiave di soprano ([9])  o in chiave di violino ([10]).         

La raccolta di cui alla nota n. 2, come evidenziato anche nel titolo, contiene in maggioranza canti composti fra il 1740 e il 1750, però questo genere ebbe fortuna fino al secolo successivo e di questo periodo si trova anche qualche partitura, delle quali la più famosa è "La biondina in gondoléta". 

 

Concludo questo breve excursus sui canti da battello veneziani, perché facenti parte della storia della nostra città, partecipando i lettori a una mia attività di "amanuense musico-digitale" che mi ha portato a copiare alcune di queste partiture che ho pubblicato sul mio sito ([11]) assieme a altre di genere diverso. Infine, nel mese di aprile produrrò un altro opuscolo sui canti da battello, che troverete sempre sul mio sito, tutti con una caratteristica particolare che si apprende dal titolo stesso "Canti da battello veneziani velatamente allusivi e licenziosi". Di tutti i canti da me copiati trovate anche le musiche digitali create dal software in fase di copiatura. 



[1]   -   "Canti del popolo veneziano" raccolti da Angelo Dalmedico,  Andrea Santini e Figlio Editori - Venezia,  1868  ; 

     -   "Canti popolari veneziani" raccolti da Domenico Giuseppe Bernoni, Tipografia Fontana-Ottolini,  Venezia, 1872;

     -   "Canti del popolo veneziano" di Iacopo Vincenzo Foscarini detto El Barcariol con note di Giulio Pullé,  Tipografia Gaspari, Venezia, 1844 

[2]   "Canzoni da battello (1740-1750)" a cura di Sergio Barcellona e Galliano Titton, introduzioni di Manlio Cortellazzo e Giovanni Morelli su iniziativa della Regione del Veneto-Giunta Regionale e Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani spa Roma. Stampato nel mese di Marzo 1990 nell'Officina Carte Valori dell'Istituto Poligrafico dello Stato - Roma.

[3]    Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), filosofo, scrittore, pedagogista e musicista svizzero, fu a Venezia dal settembre del 1743 all'agosto del 1744 in qualità di segretario dell'ambasciatore francese presso la Repubblica Serenissima.

[4]    "Venetian Ballads compos'd by J.A.Hasse ans all the celebreted Italia Masters" pubblicate da John Walsh

[5]    Non è provato, ma, essendo il Rousseau anche musicista e entusiasta di questo genero, si può anche pensare che qualche composizione possa essere attribuita a lui.  

[6]   "No star bone usanze" dove l'innamorato chiama la sua donna "Siniora Iunfrau" e dove troviamo altri termini in un italiano "tedeschizzato".  

[7]   "D'Armenia vegnira" . I primi due versi sono "D'Armenia vegnira /  e stara Marcanta".

[8]    La chiave di tenore, o chiave di Do, è un segno convenzionale che fissa la posizione del Do sulla quarta riga.

[9]    La chiave di soprano, o chiave di Do, è un segno convenzionale, non più in uso, che fissa la posizione della nota DO sulla prima riga.

[10]    La chiave di violino, o chiave di Sol, è un segno convenzionale che fissa la posizione della nota sol sulla seconda linea del pentagramma. Questo Sol è precisamente quello posto una quinta giusta sopra al Do centrale.