domenica 13 novembre 2016

"I cosacchi in Carnia e la battaglia di Pani di Raveo (1944 - 1945)"

I cosacchi in Carnia e la battaglia di Pani di Raveo 
(1944 - 1945) 

Il 18 novembre del 1944 in Carnia, già occupata dai cosacchi, vi fu una battaglia che vide contrapposti agli occupanti i partigiani del Battaglione Friuli della Divisione Garibaldi.
Si tratta della battaglia di Pani di Raveo.
Di questa battaglia, ma anche della occupazione dei cosacchi e della situazione di allora in Carnia, ho appuntato alcune note disponibili a questo link

martedì 1 novembre 2016

Joska, la balalaika e l'acqua alta



Joska, la balalaika e l'acqua alta
Sergio Piovesan

Eravamo euforici salendo in pullman quella sera, o meglio, quella mattina, perché erano già le due.  Eravamo euforici e ne avevamo il motivo; e non era a causa delle libagioni con il "durello". Ritornavamo a Venezia dopo aver partecipato ad una rassegna corale con I Crodaioli di Bepi De Marzi in casa loro, nella "tana del lupo", al Teatro Mattarello di Arzignano.
Eravamo euforici anche se il tempo atmosferico era di quelli che si suole chiamare "tempo da lupi".
Avevamo eseguito i canti in programma con suprema attenzione alla direzione di Lucio e, soprattutto, con tanto sentimento, con ispirazione ed anche il maestro era particolarmente ispirato; questo forse perché avevamo davanti un personaggio che era esploso proprio in quegli anni nel mondo della musica corale per i suoi nuovi canti, e noi del "Marmolada" avevamo messo in programma proprio quei canti.
Di norma, quando riceviamo gli applausi riusciamo a percepire se si tratta di applausi di convenienza o se il brano che abbiamo eseguito è arrivato al cuore dei presenti. 
Eravamo euforici perché quella sera avevamo "scosso" anche i coristi di Bepi che riscoprirono i canti del loro maestro nelle interpretazioni di Lucio e del suo Coro Marmolada.
Forse quella sera l'impegno di noi tutti, Lucio in primis, fu al massimo, ma quando fu la volta di "Joska la rossa", uno dei canti più belli di Bepi ed il cui testo è di Carlo Geminiani, ci fu qualcosa di magico: i "forte" ed i "piano" del canto eseguiti con maestria, i tempi, forse non quelli da spartito, ma della testa di Lucio, così come lui li sentiva avevano imposto al canto un particolare significato; mancava il finale, quello che, come nelle altre strofe , fa: "Joska, Joska, Joska ....". E fu proprio nel finale che Lucio, furbescamente e intelligentemente, aveva inserito una variazione, un accompagnamento "strumentale" o, più precisamente, l'imitazione vocale del suono della balalaika, popolare strumento della musica russa. L'esecutore era Franco Cocito, tenore primo e solista, con una voce limpida e sottile che pareva proprio il pizzicato delle corde della balalaika. Una variazione che piacque molto all'autore, che, anche dopo anni, lo ricorda quando parla o scrive del Coro Marmolada e di Lucio Finco; l'ultima volta fu al concerto del sessantesimo al Malibran quando, fra l'altro, ricordò appunto "... e Franco Cocito che suonava la balalaika"!
Diciamo pure che fu un successo e per questo eravamo euforici anche durante il viaggio di ritorno. Pioveva a dirotto, faceva caldo, quel caldo umido classico dello scirocco; ed il vento era forte.
Dopo un'ora circa di viaggio arrivammo a Piazzale Roma e lì tutta l'allegria passò di colpo. Mi dimenticavo: la data era, ormai, il 4 novembre del 1966, le tre del mattino; avvicinandosi ai pontili notammo subito l'insolita pendenza delle passerelle. Mai vista un'acqua così alta! L'unico mezzo che funzionava  era il vaporetto della linea 1 che percorreva il Canal Grande; alcuni si avviarono a piedi ed altri in vaporetto; i primi si trovarono subito nell'acqua, mentre gli altri come scendevano al pontile più vicino alla loro abitazione non sapevano cosa fare: erano isolati. Alla fine tutti andarono a mollo ed anch'io e gli altri due, che abitavamo al Lido, un pezzettino, in Piazzale S.M. Elisabetta, lo dovemmo fare con i tacchi delle scarpe in acqua.
Ma eravamo ugualmente euforici!

domenica 5 giugno 2016

Vi racconto un canto: "Oh butait chei fiêrs in aghe!" (dal n.68 di "Marmoléda", il periodico trimestrale del Coro Marmolada di Venezia)



Vi racconto un canto:
"Oh butait chei fiêrs in aghe!"
di Sergio Piovesan
Scartabellando fra i miei archivi digitali, in gran parte formati da immagini e scansioni di spartiti di canto corale ed in particolare della tradizione popolare, ho trovato un canto friulano il cui primo verso, che dà anche il titolo al canto stesso, è "Oh butait chei fiers in aghe, ...". Il brano fa parte di una pubblicazione degli anni '30 dello scorso secolo, edita dal Comune di Udine con la consulenza della Società Filologica Friulana ([1]): ogni canto di questa pubblicazione oltre alla partitura musicale, armonizzata a tre voci, in genere maschili, riporta anche il testo in friulano con la relativa traduzione.
Il primo verso, viene tradotto così: "Oh gettate in acqua quei ferri, ..." e, tra parentesi, riporta (... quelle armi,).
In considerazione dell'autorità sulla lingua friulana della "Filologica" ho pensato, date la traduzione e l'interpretazione, di trovarmi di fronte ad un canto contro la guerra, del tipo "Prendi il fucile e gettalo per terra".
Il secondo verso recita "... oh fermait chel bastimènt!" che, tradotto, è "... oh fermate quel bastimento!".
Già sul secondo verso ho avuto i primi dubbi in quanto era difficile che i friulani, soprattutto gli abitanti delle montagne carniche, venissero arruolati in marina; ho pensato anche che il canto fosse più antico di molto rispetto alla Grande Guerra, che, cioè, risalisse ai tempi della Serenissima che  imbarcava rematori provenienti da tutti i territori che facevano parte della Repubblica e, quindi, anche dal Friuli. Proseguendo nella lettura i miei dubbi sono aumentati. Infatti il canto prosegue quasi con un pianto dell'innamorata che vede partire il suo  "zovin"  (giovane) "...c'al si 'n va tant malcontènt." ("...che se ne va tanto malcontento!"). Il contesto iniziale potrebbe anche essere quello della partenza per una guerra, ma i versi successivi non supportano questa teoria.
Mi sono avvalso del Vocabolario Friulano-Italiano del Pirona ed ho cercato il termine "fier" (cioè ferro) ed ho trovato che, nella traduzione in italiano, non contempla il sinonimo "armi". Poi, leggendo vari modi di dire legati a questo lemma, ho trovato  "Méti fiers in aghe" letteralmente "mettere i ferri in acqua" il cui significato è "predisporre" e quindi "preparare", "organizzare", "disporre" ed altri termini con significati simili.
Il primo verso può, quindi, assumere questo significato: "Preparatevi..."; a far cosa?  "a fermare quel bastimento!" . Ed allora si comprende che anche questo è un canto legato alle migrazioni che, dall'unità d'Italia al secondo dopoguerra,  sono state un fenomeno di vasta portata  in Friuli.
Questa tesi viene poi confermata da uno studio di Piera Rizzolatti dell'Università di Udine dal titolo "Spunti per la storia dell'emigrazione nella letteratura in friulano" dove la prima strofa del canto in questione diventa l'ultima di un altro canto, legato al fenomeno migratorio, il cui testo riportiamo in nota ([2])  nella quale leggiamo anche una breve introduzione del canto.


Il testo completo e la traduzione (vedi foto accanto) sono stati trascritti, così come sono, dalla pubblicazione di cui sopra. Nello stesso si può notare la parola "mont" tradotta in "mondo"; in friulano "mont" è "monte" e non "mondo" lemma che, invece, è "mond". 



Si riporta, di seguito. le immagini dello spartito che può essere scaricato in formato .pdf cliccando qui.






[1] Società Filologica Friulana - vedi      http://www.filologicafriulana.it/easyne2/LYT.aspx?CODE=SFFW&IDLYT=1377&ST=SQL&SQL=ID_Documento=1

[2] Ma anche lo strazio dei trasferimenti oltre oceano non è eluso nelle villotte con il rimpianto di chi, analfabeta, è costretto a ricorrere ad intermediari:
Jò no sai nè lei nè scrivi,
Ma hai çharte (pene) e calamâr;
Uèi fâ fâ une letarine
E mandalâle vie par mar.
Saludàilu, saludàilu,
Dît che lu saludi jò;
Dît ch’al stêdi alegramenti
E ch’al fasi miei ch’al po’.
Oh butait chei fiêrs in aghe!
Oh fermait chèl bastiment!
A l’è dentri il miò çhar zovin…
Lui s’in và tant malcontent!…

tradotto recita così:

"Io non so né leggere né scrivere,
ma ho carta, penna e calamaio;
voglio far fare una letterina
e mandarla via per ilmare.
Salutatelo, salutatelo,
dite che lo saluto io;
ditegli che stia bene
e che faccia meglio che può.
Oh preparatevi!
Oh fermate quel bastimento!
Vi è dentro il mio caro giovane ...
Lui se ne va tanto malvolentieri. 

venerdì 19 febbraio 2016

E Gigeto no vol che contemo

"È inconcepibile che ci siano Municipalità di un colore e un Comune di un altro, è giusto che l'amministrazione di diverso colore riduca i poteri della Municipalità".

Questa è la "spudorata" dichiarazione del consigliere "fucsia" Renato Scarpa, quello che ha anche sparato numeri sulle spese delle Municipalità, una dichiarazione che conferma la volontà antidemocratica del loro "paron" che non vuole essere contrariato e, quindi, compie un  delitto contro la democrazia.

Questo è inconcepibile! 

Ed allora .... rivoluzione!!!  Cantando ....  
(per la musica clicca qui)                                                                 (per lo spartito in pdf clicca qui)