lunedì 2 dicembre 2013

"O Gigiota" ed altri canti ... gaudenti



Vi racconto un canto:
 "O Gigiota" ed altri canti ... gaudenti 
di Sergio Piovesan

Costantino Nigra,[1] nella raccolta dei canti popolari piemontesi, nomina "Convegno notturno" un tipo di canto nel quale si assiste a richieste pressanti dell'innamorato alla sua bella per un incontro, e lo suddivide in tre sottotipi: il primo è quello  in cui il convegno promesso non viene poi concesso, il secondo quello in cui il convegno promesso viene accordato ed il terzo quello in cui il convegno viene richiesto ma non è promesso né accordato.
"O Gigiota",[2] il canto che abbiamo appreso ultimamente, nell'armonizzazione ai Andrea Mascagni, appartiene sicuramente al secondo tipo di "Convegno notturno". È un canto della campagna emiliana, più precisamente del ferrarese, di intonazione garbatamente boccaccesca; la situazione descritta è un po' scabrosa, ma viene -nel contesto del racconto- decisamente sdrammatizzata.
"Gigiota" è un nome che si addice a questo canto; è un nome "corposo", sostanzioso, cioè un nome che rappresenta anche fisicamente questa bella ragazza, senz'altro formosa e appariscente, che attira le voglie dell'innamorato. Questi chiede una "licenza", una concessione, un permesso, e, quindi, per estensione, "libertà di fare" che si tramuta in sfrenatezza di costumi.
La Gigiota acconsente (non vi fu alcunché di "galeotto") ed ecco che a mezzanotte, quando tutta la casa è immersa nel sonno, un leggero segnale (" ... un bussetto alla porta, ...") induce la bella Gigiota ad andare ad aprire la porta per accogliere il suo amore. Forse i due, intimamente agitati ed esuberanti, svegliano i genitori che bruscamente intervengono e, al buio, si accorgono di qualcosa e chiedono ... " ... chi è quell'uomo che è a letto con te?". Ma Gigiota non si perde d'animo è trova subito una scusa:  "L'è mia sorela, Caterinela, che l'è venuta a dormire con me.".
I canti di questo tipo che, come vedremo, non mancano nel genere "popolare", trattavano, anche se esplicitamente, argomenti d'amore e di sesso con garbo e semplicità, senza eccedere e senza degradare nello scurrile.
Ma non c'è solo la Gigiota! Sempre in Emilia troviamo la ... Pinota [3] al quale l'innamorato chiede una "grazia", termine assimilabile alla "licenza" del canto precedente. L'appuntamento viene fissato alle undici (non a mezzanotte) ... "... quando mamma e papà non c'è.". L'incontro non avviene in camera, ma fuori e la Pinota si presenta " ...deschèlza in camisola" (scalza ed in camicia da notte) anche se voleva rivestirsi. Il giovanotto non dà molta importanza all'abbigliamento della Pinota perché "... non importa che tu ti vesta, tanto nuda tu piaci a me.". Essere essenziale e deciso, questa è la caratteristica dell'innamorato di Pinota   
Dall'Emilia attraversiamo gli Appennini e, in Toscana, troviamo un'altra Pinota; il testo è simile alla versione emiliana ma, nella prima strofa, l'innamorato non chiede una "licenza" o una "grazia": lui ... vuole, esige  : "O Pinota, bella Pinota, vo' una notte dormire con te.".
La scoperta di questi canti gaudenti e boccacceschi, piccanti, osé, non si ferma a queste due regioni. In Trentino troviamo "E picchia picchia a la porticella" [4] dove, la porta viene aperta, con la mano,  e  "... co' la boca la me dà un bacin", un bacino così forte da svegliare i genitori che appaiono preoccupati di quello che dirà la gente; ma contrariamente agli altri testi, nel finale, che potremo definire più moderno, la ragazza conclude con "Ma lascia pure che il mondo dica, io voglio amare chi ama me!" .
Un testo molto simile lo troviamo in Val Canobbina [5] dal titolo "E picchia, picchia" nell'armonizzazione di Armando Corso[6]. Rispetto all'edizione trentina questo ha una strofa in più che recita: "Io voglio amare quel giovanotto, che è stà sett'anni in prigion,  ... prigion per me!" .


Il madrigale è una composizione musicale, in maggior parte per gruppi di 3-6 voci, originata in Italia, e diffusa in particolare tra Rinascimento e Barocco e quindi in un arco di tempo che va all'incirca dalla seconda metà del XIV secolo fino al XVI secolo. Una teoria sulla etimologia della parola "madrigale" afferma che questo termine viene dal latino "materialis" e che, opposto a "spiritualis", prende il significato di "cose materiali o grosse".Canti di cose materiali o grosse dove il termine "grosse" non lascia dubbi sugli argomenti trattati dai testi: canti d'amore -non spirituale- ma materiale, sensuale. Ma un'altra teoria  ne ipotizza l'etimologia dal latino volgare "mandria-mandrialis" in riferimento al contenuto rustico e pastorale. Così canzoni gaudenti -in genere di autore anonimo, ma non sempre- le troviamo nelle raccolte musicali dei secoli scorsi, come il caso di "Per ristor del corpo lasso" [7],  dove il testo (vedi sotto)




non dà adito ad interpretazioni in quanto tutto è molto chiaro e dove la donzella prima fa finta di non accettare le "avances" dell'intraprendente messere, ma poi è ben contenta del godimento che segue.
Non è proprio il caso di citare la locuzione latina "O tempora, o mores!"    


[1] Costantino Nigra (1828-1907), uomo politico piemontese, ma anche filologo e poeta. Si dedicò alla raccolta dei canti popolari della sua regione e sull'argomento pubblicò "Canti popolari del Piemonte" (1888)
[2] O Gigiota, bela Gigiota, / una licenza vuria da te, / una licenza date vuria, / solo una notte a dormire con te.
Mezzanotte, un bussetto alla porta, / cara Gigiota venite ad aprir, / con una mano apri la porta / e con quell'altra accarezza il tuo amor.
O Gigiota, bela Gigiota, / chi è quell'uomo che è a letto con te? / L'è mia sorela, Caterinela, / che l'è venuta a dormire con me.
[3] "O Pinota" raccolta nel 1938 a Pian di Macia (BO) ed armonizzata da Giorgio Vacchi
[4]  "E picchia, picchia a la porticella" (Valsugana) - Ricostruzione di Luigi Pigarelli.
[5] La Valle Cannobina è una valle del Piemonte, in provincia del Verbano Cusio Ossola. Prende il nome da Cannobio (sul Lago Maggiore), il principale abitato che si trova al suo inizio.
[6] Armando Corso - vedi  http://www.corocauriol.com/armando.html
[7] "Apografo miscellaneo marciano" - Francesco Luisi -  Edizioni Fondazione Levi - Venezia 1979 (Edizione critica integrale dei Manoscritti Marciani, 1795.1798).
"Apografo" = copia del manoscritto originale 

domenica 10 novembre 2013

Toponomastica e anagrafici veneziani



Un cartoncino pubblicitario della parafarmacia inserita all'interno della Coop di Piazzale Roma, a Venezia, porta anche l'indirizzo anagrafico esposto in questi termini: Via Santa Croce, 499.
Evidentemente il cartoncino non è stato impostato a Venezia, ma, forse, nella sede amministrativa che si trova in Romagna o da un'agenzia pubblicitaria di qualche altra città.
Infatti a Venezia, Santa Croce non è una "via", ma un sestiere e la numerazione va per sestiere per cui si arriva a numeri anagrafici molto alti.
A Venezia, quelle che i foresti, o i "campagnoli" chiamano "vie" sono le calli; poi non esistono piazze o piazzette, ma campi e campielli, per non parlare di "sotoporteghi", "rami" e "fondamente". Esiste una sola Piazza, quella di San Marco e, per questo basta dire : "... vado in piazza", per indicare che si va in Piazza San Marco.
Ovviamente per Venezia intendo solo il centro storico lagunare e non la terraferma.
Ma di queste stranezze di indirizzi ho avuto modo di constatarne altre; io abito nel sestiere di Santa Croce e spesso mi arriva posta indirizzata in Via Santa Croce, come l'esempio della Coop, ma anche Strada Statale Santa Croce in quanto, a volte, il termine "sestiere" viene abbreviato in "SST", abbreviazione che qualcuno interpreta, invece, come "Strada Statale".
Ma non è finita! Visto che esiste la parola "Croce", qualcuno -più "studiato"- scrive ... Via Benedetto Croce!!!
Per il momento non ci sono altre varianti!

martedì 5 novembre 2013

SU LA RIVA DE BIASIO




Sul libro "Canti per popolo veneziano" di Iacopo Foscarini, stampato nel 1844, sul quale sono riportate numerose "canzonette o villotte alla veneziana" ho trovato due strofe -che non sono villotte(1)- e che, fra loro sono collegate. La prima, in particolar modo, richiama un'orrenda storia di un "orco", non trovo altro termine per definire il famoso "Biasio luganegher"(2), che proprietario di un'osteria, una bettola, preparava un intingolo usando carne umana, più precisamente carne di bambini. La storia è molto conosciuta a Venezia ed una località, probabilmente nelle vicinanze della casa di Biasio, si chiama appunto "Riva de Biasio".

Oggi è una fondamenta di circa duecento metri lungo il Canal Grande, una delle poche su queste acque; ma le condizioni attuali sono ben diverse da quelle di una volta. Infatti molti spazi che davano sul Canal Grande, ma non solo, non erano fondamente, cioè strade lastricate lungo un canale, ma rive che degradavano verso l'acqua. Anche la famosa pianta prospettica del De Barbari del '500 mostra questa caratteristica che troviamo anche in altri quadri di artisti famosi dell'antichità relativamente ad altri luoghi. (v."La Scuola della Carità" del Canaletto).

Il testo, senz'altro popolare e di prima dell'800, mette in evidenza una situazione abbastanza diffusa in quei periodi; senz'altro gran parte del popolo abitava a piano terra in case non troppo sane e dove girava poca aria. Quindi, in caso di estati afose e umide, era quasi impossibile vivere tutto il giorno dentro casa, soprattutto per i bambini e per le mamme. Ed allora, come anche oggi, una passeggiata lungo una riva vicina all'acqua e magari con un leggero alito di vento, era il toccasana contro la calura. Forse la madre era un po' ansiosa o, come si direbbe oggi, il parto aveva lasciato qualche conseguenza depressiva. Ed ecco che subito le viene alla mente il feroce Biasio, tanto che le sembra di vederlo già pronto con il coltello in mano per usarlo contro il suo bambino.

L'autore della prefazione del libro sostiene che i canti veneziani sono quasi tutti in tono minore  in quanto "....pare che i Veneziani abbandonandosi  all'affetto, si tingano per naturale inclinazione d'una lieve malinconia, che trasfonde in chi l'ascolta maggior tenerezza....". 

Ma è con la seconda strofa -profondamente diversa-, nella quale interviene il marito, che cambia l'atmosfera e, quindi -penso. anche la tonalità! È lui che, con baldanza, vuole rincuorare la moglie alla quale propone di andare a prendere il fresco a San Basegio, dalla parte opposta della città, assieme ai Nicoloti, gli abitanti di quella zona, pescatori, e dove, in una bettola famosa, si può bere anche un buon bicchiere di vino.

Dalla tristezza all'allegria, questa è la certezza del testo, ma è anche la certezza di chi legge queste due bellissime espressioni popolari, e di chi le ascolta.

Ma qui, come si dice, casca l'asino!  Quale sarà la melodia di questa canzone? L'autore citato all'inizio afferma che non esistono tracce musicali; purtroppo, col passare del tempo, queste sono andate perse, come tante altre arie a Venezia(3).

Ed allora perché non trovare una nuova melodia, magari ispirata a qualche antica melodia veneziana -ma forse non è necessario- o legata semplicemente al testo?

Armonizzarla poi per coro virile appare un po' difficile, soprattutto la prima strofa dove la protagonista è la madre; ma tanti canti della tradizione sono stati impostati per coro virile anche se protagoniste sono le donne.

Ed allora, perché qualche musicista, preferibilmente veneziano, o con la sensibilità veneziana, non ci prova?



(1) La forma poetica della villotta è quella chiusa di quattro ottonari alternati piani (primo e terzo) e tronchi (secondo e quarto)
[2] V. "Curiosità veneziane"del Tassini alla voce "Riva de Biasio"
[3] Scrive il Pullè nella prefazione al libro del Foscarini " .... ! la fatal moda che ogni cosa invade e scompiglia; le sovrabbondanti melodie, ed i cori rubati al teatro che rimbomba di sempre nuova musica, la vinsero; e fecero dimenticare, o trasandare a' buoni Veneziani, la cara semplicità de' loro canti primitivi,..."