L’altro giorno avevo promesso un post “storiella”, quasi una barzelletta.
Prima, però, alcune precisazioni, per inquadrare il periodo nel quale è ambientata questa storiella, che la sentivo raccontare fin da quando ero ragazzino ed era già datata anche allora.
Più o meno siamo all’inizio del XX secolo. Allora la borghesia veneziana, un po’ con la puzza sotto il naso, e la nobiltà, anche se decaduta, usavano trattare dall’alto in basso i poveri cristi che non avevano ascendenze cittadine, sottointeso veneziane. Particolari sfottò erano riservati verso gli abitanti di Chioggia. Il più famoso è quello relativo al “gato de Ciosa” (gatto di Chioggia), come veniva chiamato il piccolo leone marciano posto sulla colonna proprio in riva alla laguna, nella Piazza Vigo, al quale questi perdigiorno veneziani portavano, per dileggio, le lische di pesce per poi scappare, in velocità, con le barche sulle quali erano arrivati e seguiti da arrabbiati chioggiotti.
La storia che segue è ambientata in quel periodo e vuole prendere in giro l’ignoranza del popolo più umile di questa città.
Il tema è l’orgoglio, parola molto in uso in questo periodo nel quale tutti sono orgogliosi di essere qualcuno o di fare qualcosa.
Un borghese veneziano, ben vestito, con tanto di bastone da passeggio, ghette e cappello di paglia, sta camminando attraverso un quartiere popolare di Chioggia, quando vede una giovane donna che, urlando, sta riempiendo di botte un ragazzino. Si accorge che quest’ultimo è veramente soccombente e, allora, decide di intervenire bloccando la mano della donna che sta per dare l’ennesimo schiaffo.
“Si fermi signora! Non vede che sta facendo del male a questo fanciullo” dice il signore.
“Intanto ‘sto fanciullo, come lo ciamé vu –risponde la donna- xé mio fio e mi lo pesto parché se lo merita e parché mi lo vogio tirar su ben.”
“Ma lei lo sta ammazzando di botte, e questo non è un buon metodo educativo. E poi che cosa grave ha fatto per essere trattato in questo modo?”
“Cossa gà fato? El me domanda cossa gà fato? Ve lo digo mi cossa fa ‘sto malignasso!”
“Chissà quale malefatta ha compiuto a quella giovane età?”
“Giusto parché gà ‘na giovine età no’ dovaria comportarse come invesse se comporta! El xé massa orgoglioso!”
“Che male c’è ad essere orgogliosi? Chi è orgoglioso è fiero di sé stesso per qualche cosa che sia motivo di gloria e d'onore.”
“Ma lu el xé massa orgoglioso!”
“Ripeto che, anche se è troppo orgoglioso, non c’è nulla di male. E poi cosa fa di tanto biasimevole per essere castigato in quella maniera?”
“Ve lo digo mi par la seconda ed anca par la tersa volta: el xè massa orgoglioso!”
“Ma, insomma, cosa fa per essere troppo orgoglioso?”
“Ve contento subito: so pare scoresa, ma lu, mancandoghe de rispeto, el vol scoresar più forte!”
4 commenti:
Me fasso imprestar un altro dialeto:"Quanno ce vò,ce vò".
Io conosco un finale di storia un po'diverso:................"el xe massa orgoglioso, el vol scoresar come so pare ,ma ogni volta che el prova el se caga adosso!!!!"
Stelio
La xé in sintonia co la spussa so el naso dei veneziani di sempre. Ma non colpa del lori. I ga sempre i canai che spussa...
x Stelio: con il tuo finale, c'è poco da essere ... orgogliosi!
x Anonimo, che penso di aver individuato, anche per la forma che usa nello scrivere in dialetto (mi sa molto che venga dalle zone dove ancor oggi si venera Checco Beppe), voglio ricordare la famosa favola di Fedro "La volpe e l'uva"!
E poi, come altre volte, sei fuori tema!
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