Negli anni ’60, in pieno “boom” economico, ma anche un po’ prima e dopo, nel Veneto ed anche nel resto d’Italia, iniziarono a sorgere “ex novo”, oppure ad essere ristrutturati in crescita, numerosi ospedali posizionati in paesetti più o meno grandi. La voglia di avere la sanità sotto casa fu una moda molto costosa allora che, anche oggi, nonostante qualche difficilissimo ridimensionamento, continua.
Il tutto iniziò perché in queste, chiamiamole “cittadine”, località cominciava la carriera qualche politico, in genere democristiano, che poi raggiunse posizioni notevoli. Era, in definitiva, un “voto di scambio” e non vedo che ci sia un altro modo di chiamare questo modo di agire.
“Voi mi votate ed io vi faccio ottenere la costruzione e/o ristrutturazione dell’ospedale paesano”. Questo era l’”usanza”.
Ripeto, nel Veneto erano in maggioranza i democristiani mentre nelle altre ragioni potevano essere socialisti, socialdemocratici ed anche comunisti. Insomma il “boss” politico per essere rieletto, anche con un notevole numero di preferenze (allora contavano), prometteva, ovviamente con i soldi dello Stato, una “migliore sanità”!
Naturalmente la spesa crebbe in maniera smisurata e ci fu chi tentò di ridimensionare il fenomeno chiudendo qualche reparto, declassando l’ospedale o riducendolo ad un punto di primo intervento; la cosa non fu indolore. Sorsero comitati cittadini a difesa dell’ospedale sotto casa, oppure a difesa di qualche specialità portata in auge dal singolo primario. Ed anche in questo caso si vide che se c’era il “politico giusto” veniva riconosciuta la “specificità” del nosocomio o del territorio. Insomma anche nella fase di riduzione l’importante era avere qualche santo in cielo o, come si usa dire in Veneto, qualche “santolo”, l’equivalente di “padrino”.
E veniamo al caso di questi giorni. Siamo, come avrete capito, in Veneto, regione in cui è ancora in maggioranza il centro-destra alla quale partecipa anche la Lega.
L’assessore alla Sanità, Tosi, è un leghista veronese e quindi, dovendo ridurre qualcosa ha pensato bene di farlo in un territorio dove i leghisti non contano: il comune di Venezia. Qui c’è una Ulss che incorpora il comune predetto, quindi i territori di Venezia e di Mestre, più altri tre comuni più piccoli confinanti (Marcon, Quarto d’Altino e Cavallino-Treporti).
Sta nascendo (proprio in questi giorni sono giunti al tetto) il nuovo ospedale di Mestre che sarà attivo a fine 2007. Ma già il vecchio ospedale (Umberto I) opera egregiamente anche se con molte difficoltà. Una delle specialità considerate “fiore all’occhiello” della sanità veneziana e mestrina è la cardiochirurgia diretta dal primario Dott. Claudio Zussa.
Cosa ha pensato l’assessore leghista? Nel Veneto, anche secondo i parametri europei (quando vogliono si sentono anche europei i leghisti), le cardiochirurgie devono essere solo tre ed allora resterebbero Padova, naturalmente intoccabile, Verona, dove l’assessore Tosi raccoglie i voti, e Treviso, roccaforte leghista.
Maurizio Dianese su “Il Gazzettino” del 25.3.2006 scrive: “… Nel caso di Mestre sarà Treviso - secondo l'ipotesi di Tosi - a coordinare le cardiochirurgie di Mestre e Belluno. E a Mestre è scoppiato già il putiferio. Gli ottimisti dicono che è solo un modo per accontentare Lia Sartori, la potentissima padrona di Forza Italia, che ha chiesto un posto al sole per il professor Carlo Valfrè, suo amico personale. Il quale, dunque, si limiterà ad incassare il premio e amen.” Che bassezze!!! E continua: “I pessimisti invece ricordano che a suo tempo Valfrè cercò di mettere il cappello su Mestre e dovette ritirarlo perché l'allora direttore generale dell'Ulss, Carlo Crepas, gli tagliò la consulenza e chi s'è visto s'è visto. Dunque, Valfrè si vendicherà di Mestre. Quel che è certo è che il nuovo ospedale di Mestre rischia di nascere "sotto tutela", come succursale di Treviso, che avrà avuto anche i quarti di nobiltà, ma ormai non è più l'Ulss di un tempo. … “ (Vedi articolo completo).
Forse la mia è una difesa di parte visto che sono stato uno dei “clienti” del primo anno di attività a Mestre dei cardiochirurghi “fondatori”, il citato Dott. Zussa e l’aiuto Dott.Elvio Polesel (allora erano solo in due), però mi chiedo se qualcosa funziona (a Mestre si attende ora al massimo quattro mesi per un’intervento programmato, mentre a Treviso si va oltre l’anno) perché bisogna chiuderla o trasformarla? Anche solo unendola o mettendola in simbiosi con Treviso cosa migliorerebbe? Niente! Anzi, forse i più classificati “coordinamenti” e/o “supervisioni” porteranno ad un aumento delle liste d’attesa e non vi sarà alcun miglioramento per i pazienti. E poi, la sana concorrenza fra primari ed ospedali non serve?
Naturalmente, ora come allora, c’è subito chi protesta. Non si tratta, però, questa volta di cittadini fomentati da politici, ma, come si evince dalla lettera della Presidente dell’Associazione Amici del Cuore di Mestre, sono proprio coloro, od i loro famigliari, che hanno esperimentato la capacità di ci opera nella Divisione di Cardiochirurgia di Mestre.
Mi associo, quindi, all’appello degli Amici del Cuore di Mestre e mi auguro che anche nel nuovo ospedale ci sia ancora la cardiochirurgia!!!
Chi volesse sottoscrivere questo mio appello lo può fare inserendo il suo nominativo nei commenti.
Sarà mia cura trasmettere il tutto all’Associazione Amici del Cuore.
2 commenti:
Non bastavano i Baroni a decidere per le vicende della Sanità, ora ci si mettono anche i Leghisti,capitanati da Gentilini ! Ma come si fa a pensare una città come Mestre priva di un reparto così importante come la Cardiochirurgia?Ed il nuovo Ospedale
a cosa dovrà servire, se non a potenziare questa Sanità che va a rotoli?
Ma com'è possibile che una importante struttura come il nuovo ospedale che dovrà servire tutta la terraferma veneziana e che costa una cifra a tutti i cittadini nasca già monco di un reparto importante come la Cardiochirurgia ! solo i nosrtri politici possono avere queste idee !!
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