In un suo articolo sulla rivista Choraliter (1) dal titolo “Quando la tradizione si rinnova“, Carlo Berlese, traendo spunto dall’assioma che “i cori popolari cantano sempre le stesse cose da vent’anni e più”, cerca di segnalare delle esperienze interessanti al fine di reinventare il modo di comunicare e di emozionare il pubblico con delle proposte nuove, non solo musico-corali.
L’autore non vuole, e non sa, dare soluzioni e, perciò, segnala due strade che gli sembrano “nuove”.
La prima è quella di proporre i canti popolari nel contesto dove venivano cantati, con l’aiuto anche di strumenti popolari di vario tipo, con minimi interventi di arrangiamento, il tutto per coinvolgere il pubblico con la semplicità. Insomma, quasi una forma teatrale.
La seconda proposta prende in considerazione l’elaborazione dotta e molto spinta e porta ad esempio i canti degli alpini eseguiti per coro e quartetto d’archi ad opera del maestro Mauro Zuccante. Così scrive di questa esperienza: “L’uso del quartetto d’archi e coro con un linguaggio che filtra esperienze post moderne e sensibilità tipiche della coralità amatoriale connota un lavoro veramente interessante e accattivante”.
Personalmente credo che le due proposte non abbiano alcun valore se gli esecutori si accontentano solo di presentare formule nuove senza che vi sia qualità, e questo credo sia la vera causa della crisi del canto corale di origine popolare, sempre che sia giusto usare il termine “popolare”.
Ritengo, comunque, che ci sia necessità di innovazione e che non si possa andare avanti sempre con gli stessi schemi; è necessario, quindi, trovare nuove forme sia musicali sia di spettacolo e di presentazione.
A questo riguardo vorrei proporvi una terza soluzione, strada o esperienza (chiamatela come vi pare), alla quale ho avuto modo di essere presente.
Si tratta di un evento di quest’estate nella Chiesa Parrocchiale di Raveo, nell’ambito di una manifestazione che prende il nome di “Carniarmonie” e che, già da diciassette anni, porta della buona musica nei luoghi, spesso incantati e poco conosciuti, della montagna friulana.
Nell’ambito di questa rassegna si è esibito a Raveo, nel giorno dell’Assunta, il Coro Panarie di Artegna (UD). Il coro, però, non si presentava da solo, ma assieme ed alternato a musiche d’organo, voce recitante e proiezioni di quadri.
Lo spettacolo/concerto prendeva ispirazione da una serie di acquarelli formali ed informali dal tema “Luce, Acqua, Vita nei Vangeli di Giovanni”; i colori predominanti erano il giallo e l’azzurro. Su queste raffigurazioni della pittrice Anna Sonvilla, il musicista Luciano Turato ha composto brani per solo organo e per solo coro, il tutto legato da una voce recitante. Devo ammettere che, all’inizio, sono rimasto un po’ shockato per questo nuovo modo di dare spettacolo, ma nel sentire il coro, che poi era la parte che più m’interessava, sono rimasto piacevolmente sorpreso.
Il Coro Panarie nasce inizialmente come esecutore di villotte tanto che assume quale propria denominazione, il nome di “panarie” che significa madia, mobile caratteristico dell'antica cucina friulana; nel corso degli anni il complesso si evolve e si matura verso forme musicali “colte” non dimenticando, però, le origini. Si tratta di un coro misto, di un buon coro misto, dove -cosa rara- non hanno supremazia gli acuti delle voci femminili.
Tornando allo spettacolo, devo solo precisare alcune cose che mi sono piaciute di meno: in primo luogo uno schermo eccessivo che copriva tutto l’altare maggiore (la chiesa è di notevoli dimensioni) nascondendo il coro che, in questo modo, non si vedeva e, quindi, risultava sacrificato (lo schermo avrebbe potuto essere piazzato lateralmente); poi, in certi momenti, c’era uno sfasamento fra i finali dei brani d’organo e le proiezioni, che continuavano prima di passare alla voce recitante che introduceva un altro tema (si sono raggiunti anche 45 secondi di “tempi morti”, il che non è poco); infine devo rilevare che, essendo il direttore del coro, il maestro Paolo Paroni, anche l’organista, c’era un via vai eccessivo tra la postazione dell’organo e l’altare maggiore.
Ma, nonostante queste sfasature, nel suo complesso, lo spettacolo-concerto ha avuto modo di proporre musiche nuove, musiche piacevoli e bene eseguite, che hanno tenuto inchiodati ai banchi gli spettatori per oltre un’ora dopo la quale un lungo e caloroso applauso ha premiato gli artisti: pittrice, cantori, organista, voce recitante ed autore delle musiche.
Anche questo mi sembra, dunque, un modo di rinnovarsi, ma, come sempre, è importante una buona esecuzione.
Note
1) Rivista della Feniarco (Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali)
12 commenti:
Caro sergio,che meraviglia!
Hai scritto una pagina dedicata al bel canto e alla buona musica insieme,un binomio decisamente insolito per il repertorio popolare,ma che secondo me è la strada da seguire.Come te non vedo proprio i canti a voci pari con l'accompagnamento di archi,snaturano l'essenza del coro alpino!
Ironicamente potrei dire di "rivisitare" i canti delle mondine con l'accompagnamento degli ottoni...!
Buona giornata.
@Sirio: il discorso è abbastanza complesso. Tutto parte dal fatto che molti cori, nati come "cori di montagna" (cosa vuol dire poi?)hanno inserito nei loro repertori anche canti di altro genere, restando, però, con lo stesso spirito ed entusiasmo.
Il problema è che non si trovano ricambi, soprattutto nelle città, e, quindi, questi cori vanno scomparendo.
Io non sono contrario a "rivisitazioni" purché le esecuzioni siano, non dico perfette, ma che ci manchi poco alla perfezione sì!
Poi è necessario anche variare i repertori: passano gli anni e anche la musica si rinnova; perciò perché non rinnovare anche i cori e la musica corale?
Parli di canti delle mondine; ma esistono ancora le mondine? e se sì, cosa cantano?
Certo che è anche giusto non perdere un patrimonio di musiche così importanti perché il canto e la musica popolari non sono di secondo ordine e, invece, sono stati snobbati -per parlare decentemente- dai cultori della cosiddetta "musica colta".
@Sirio: (continua)
Scrivi: " ... al bel canto e alla buona musica insieme,un binomio decisamente insolito per il repertorio popolare ... "
Non sono d'accordo: esistono cori cosiddetti popolari, e non sono pochi, che cantano veramente bene.
Non hanno molto da imparare da altri complessi e generi musicali. Purtroppo ce ne sono anche altri, invece, che cantano tanto e solo per ritrovarsi in compagnia, e sono questi che rovinano tutta la categoria
Ho letto attentamente.
Credo che la terza strada sia percorribile anche se forse rischia un po' di sacrificare l'aspetto della tradizione dei gruppi di canto popolare.
Ogni soluzione o cmq tentativo interessante che possa far rifiorire questo settore è credo auspicabile tentarlo.
Ciao Sergio
Daniele
@Daniele: è vero, bisogna fare qualcosa e tentare ... non nuoce. Anzi nuove idee e nuovi modi di fare spettacolo possono fare interessare anche pubblico estraneo a questo tipo di canto.
Ho ascoltato , pochi mesi fa, "La montanara" suonata da un'orchestra americana. Meravigliosa! ! ! Mi direte che la famosa canzone non è un canto popolare. Ma poiché nei nostri repertori giustifichiamo la presenza dei canti d'autore, definendoli "di ispirazione popolare", possiamo tranquillamente affidare a musicisti sensibili l'elaborazione di canti vecchi e nuovi,non fosse altro per presentare delle cose nuove.
@toni: parli di musicisti sensibili; giusto, ma quanti ce ne sono? tanto è vero che dopo si sentono esecuzioni di elaborazioni veramente str...ane! Per non andare lontani, quelle di ieri sera.
Il mio lavoro non ha nulla a che fare con il canto popolare.
Cordiali saluti.
Mauro Zuccante
@mauro. ho riportato quanto scritto da Carlo Berlese
@mauro: a parte il fatto che non è disdicevole avere a che fare con il canto popolare, noto, nel tuo sito, che hai armonizzato canti come: Ai preat, Bella ciao, Bepino l'entra in camera, La bergèra, Da l'oriente siam partiti, Dormi mia bella dormi, La Dosolina, La vien giù da le montagne, Quando ero picolina, Sul ponte di Bassano.
E ne ho citate solo alcune tra una miriade di lavori di altro genere.
Saluti a tutti, essendo in qualche modo stato direttamente chiamato in causa, mi permetto di replicare al post iniziale. Non posso che essere lieto che il progetto "Luce, Acqua, Vita" sia stato recepito in maniera positiva e portato quasi ad esempio di originale programmazione dal Sig. Sergio, che ringrazio, peraltro non conoscendo personalmente. Non credo tuttavia che tale progetto sia rappresentativo di una "terza strada", la cui eventuale esistenza darebbe d'altro lato rappresentatività eccessiva alle prime due "soluzioni". Il rinnovamento delle proposte è questione complessa, che riguarda certamente e imprescindibilmente il fattore qualità, ma anche diversi elementi che potrei definire "sociali". Nel suo piccolo lo dimostra il fatto che lo stesso progetto sopracitato, già eseguito diverse volte, non è sempre stato accolto con lo stesso calore, dipendendo per esempio dal livello culturale e spirituale del pubblico, dalla cornice, in senso lato, oltre che da diversi altri fattori. Quel progetto è in ogni caso un'idea, peraltro nemmeno così nuova e originale, per proporre della musica che possa ispirare un raggio di sensazioni più ampio rispetto al puro ascolto, grazie alla parola recitata e alla visualizzazione di opere pittoriche. Pensandoci bene, il teatro musicale propone qualcosa di simile da quattrocento anni. Nel nostro caso ciò che è diverso (a parte il budget ben lontano da quello di qualsiasi spettacolo teatrale) è forse l'aspetto più orientato verso la meditazione piuttosto che il puro spettacolo. Motivo per il quale mi sembrano infondate le critiche (che comunque accetto di buon grado) che il Sig. Sergio ci rivolge. Lo schermo nascondeva il coro intenzionalmente: la musica e l'immagine erano pensati come elementi che si dovevano fondere, portando, ripeto, alla meditazione e al puro godimento sensoriale, anche grazie ai passi recitati. In questo caso vedere direttore e coristi avrebbe fatto parte dello "spettacolo", da cui questo progetto voleva allontanarsi. I tempi morti purtroppo erano dovuti ad una sincronizzazione molto difficile, vista la posizione dell'organo rispetto allo schermo. Stesso discorso per il viavai del sottoscritto, per il quale nessuna soluzione diversa era possibile, visto il tragitto obbligatorio tra cantoria con l'organo, dove lo spazio comunque non era sufficiente ad ospitare anche il coro, e l'altare. Certo, un organista diverso dal direttore avrebbe risolto il problema, ma anche dolorosamente alzato il budget. Tuttavia un pizzico in più di predisposizione verso l'immersione nei suoni, parole, immagini avrebbe - credo - fatto passare in second'ordine i due problemi di cui sopra.
Tornando all'argomento principale, non ho ricette, ma ho partecipato a tanti tentativi di mischiare generi e forumulare nuove proposte. Penso per esempio al progetto "Serenade", più volte eseguito nel corso di diversi anni, in cui il noto jazzista Glauco Venier ha messo mano a villotte di Zardini, rielaborandole in chiave personale e sfruttandole come base per improvvisazioni. Un progetto eseguito in forma sempre diversa, con il coro accompagnato da quartetto d'archi, orchestra d'archi, quartetto di clarinetti, a cappella... Una proposta che, per esempio, ha sempre - e sottolineo, sempre - avuto uno straordinario successo in qualsiasi luogo sia stato presentato, anche fuori regione. Tentativi, insomma, alcuni fortunati, altri meno. E se cito la fortuna, non è a caso. I progetti vincenti non sono necessariamente quelli più vicini all'ascoltatore meno preparato, nè tantomeno quelli che noi giudichiamo di "alta qualità". Ci dev'essere quel qualcosa in più che sfugge a qualsiasi ricetta. Quel qualcosa che è si diretto discendente della qualità, ma è un ingrediente non controllabile e pianificabile. Certo, grandi musicisti hanno probabilità immensamente maggiori di avere questa "fortuna", ma non è per nulla scontato.
Peraltro, e concludo, le due vie citate da Carlo Berlese non sono affatto originali: il coro Peresson di Piano D'Arta, per esempio, da decenni esegue musica popolare in maniera "naturale" e cercando di ricreare i contesti originali, con fortune alterne e non certo scontate: un concerto, per quanto buoni possano essere gli sforzi, rimarrà sempre una situazione lontana da quella in cui i canti popolari sono nati. Per quanto attiene alla "seconda strada", la rivisitazione di repertori assodati tramite l'uso di linguaggi compositivi diversi è qualcosa che si fa da quando sono nate le elaborazioni dei canti popolari, ossia quasi contestualmente alla loro riscoperta e valorizzazione. E non credo sarà l'apporto di alcun quartetto d'archi o qualsivoglia altro strumento musicale a prevenire l'oblio verso il quale lentamente si stanno dirigendo.
Cordialità,
Paolo Paroni
... ripeto, l'esito del mio lavoro (citato da Carlo Berlese) non ha nulla a che fare con il canto popolare. So benissimo che cos'è il canto popolare.
Saluti.
Mauro Zuccante
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