martedì 9 gennaio 2007

BANKITALIA – Cosa sta succedendo?

Sembra percepire, leggendo qualche giornale, ma anche in rete, che le ultime operazioni legislative e regolamentari sulla Banca d’Italia porteranno a qualcosa di strano.

Sono solo percezioni o realtà? Sono solo voci maligne, oppure chissà quali manovre si stanno svolgendo?

Si sa che “… a pensar male si fa peccato, ma, spesso, s’indovina!”

Vediamo, allora di cosa si tratta, ma prima … un po’ di storia della Banca d’Italia

“Nel 1926, si varava la prima legge bancaria, Legge n. 812 del 06.02.1926 : la Banca d’Italia diventava l'unica banca abilitata ad emettere moneta, con l’attribuzione del compito fondamentale di vigilare sull’intero sistema bancario. La Banca d’Italia si accaparrava le riserve metalliche del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli. A questo proposito un piccolo inciso. Subito dopo l’occupazione del Sud, l’allora Banco di Sicilia disponeva di una ingente riserva aurea, ma si impedì a questa banca di recuperare dal mercato le sue monete d’oro per convertirle in carta moneta. Se ciò fosse stato consentito, il Banco di Sicilia avrebbe potuto emettere banconote per un valore pari o superiore ai 1.200 milioni e occupare , in tal modo, il primo posto nel mercato finanziario italiano. Le banche del nord non possedevano riserve di questa portata. Con buona tattica, l’oro del sud venne via via rastrellato per passare in mano alla Banca d’Italia. Ma qui viene il bello. Alla resa dei conti, queste riserve auree non vennero ritrovate nelle casse della Banca d’Italia. Dove erano finite ? In mano agli spregiudicati imprenditori del Nord che avevano costituito ad hoc, spuntate come funghi, banche, socie della Banca d’Italia, quali il Credito Mobiliare e la Banca Sconto e Sete e di Torino e la Cassa Generale di Genova. Queste banche finanziavano le nuove imprese industriali del Nord. Facile no la nascita del “triangolo industriale”?”

(Inciso)

Forse quelli della Lega non conoscono questa storia!

La storia non si fa con i “se”, però, qualche dubbio sulla piega che avrebbe potuto prendere l’economia del Sud se la Banca di Sicilia avesse potuto convertire la sua riserva aurea e poter, così, emettere banconote, fa capolino! Ma, i soldi dovevano andare al “triangolo industriale”. D’altra parte, non erano stati i “piemontesi” ad occupare il Sud?

Ma torniamo alla storia della Banca d’Italia.

Con il Decreto n. 1067 dell’ 11 giugno 1936, veniva approvato lo Statuto della Banca d’Italia che assumeva, ad honorem, la forma giuridica di Istituto di Diritto Pubblico. In definitiva la Banca d’Italia diventava, a tutti gli effetti, una Banca Centrale.”

La Banca d’Italia sarebbe, in base all’articolo 1 del vecchio e nuovo Statuto, un Istituto di Diritto Pubblico! Ma dove? Con il “pubblico” ci azzecca poco. È, infatti, una SpA in mano a privati e gli istituti che la stessa dovrebbe controllare sono gli stessi Istituti che ne fanno parte.

Vediamo allora chi sono i proprietari: il maggiore azionista è il Gruppo Intesa, seguito da San Paolo Imi e da altri Istituti di credito, Compagnie di Assicurazione fino al gruppo degli “anonimi”. La Banca d’Italia non è un Istituzione, non è un Istituto dello Stato, ma una semplice banca, come tante altre, solo insignita di compiti e prerogative che le altre banche non hanno.

Un prospetto rende meglio l’idea.

SOCI E PROPRIETARI DELLA BANCA CENTRALE D’ITALIA:

Gruppo Intesa (27,2%)

INPS (5%)

Gruppo San Paolo (17,23%)

Banca Carige (3,96%)

Gruppo Capitalia (11,15%)

BNL (2,83%)

Gruppo Unicredito (10,97%)

Gruppo La Fondiaria (2%)

Assicurazioni Generali (6,33%)

Gruppo Premafin (2%)

Monte dei Paschi Siena (2,50%)

C. Risparmio Firenze (1,85%)

RAS (1,33%)

Anonimi (5,65%)

La partecipazione maggioritaria al capitale della Banca, da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici, che fine ha fatto?

È stata eliminata! Perché ? C’è chi sostiene che il nuovo Statuto sia funzionale a quanto stabilito all’art. 19 della Legge n. 262/2005 : “Con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l’assetto proprietario della Banca d’Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici.

Ma i maligni sostengono anche che i Banchieri vogliano rivalutare le azioni della Banca d'Italia, per poi venderle allo Stato a caro prezzo, dato che elevato è il valore che le si attribuisce.

Lo Stato Italiano si preparerebbe, quindi, ad acquistare la Banca d'Italia e i banchieri gioiscono pensando che lo Stato dovrà pagare a carissimo prezzo la proprietà della Banca d’Italia.

Confrontiamo ora l’art 3 del precedente Statuto con il nuovo.

ART. 3 (precedente Statuto)

Il capitale della Banca d’Italia è di 156.000 euro rappresentato da quote di partecipazione di 0,52 euro ciascuna (4). Le dette quote sono nominative e non possono essere possedute se non da: a) Casse di risparmio; b) Istituti di credito di diritto pubblico e Banche di interesse nazionale; c) Società per azioni esercenti attività bancaria risultanti dalle operazioni di cui all’ art. 1 del decreto legislativo 20.11.1990, n. 356; d) Istituti di previdenza; e) Istituti di assicurazione.

Le quote di partecipazione possono essere cedute, previo consenso del Consiglio superiore, solamente da uno ad altro ente compreso nelle categorie indicate nel comma precedente. In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici.

ART: 3 (nuovo Statuto)

Il capitale della Banca d’Italia è di 156.000 euro ed è suddiviso in quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna, la cui titolarità è disciplinata dalla legge.

Il trasferimento delle quote avviene, su proposta del Direttorio, solo previo consenso del Consiglio superiore, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Istituto e della equilibrata distribuzione delle quote.

E non è difficile capire, senza far parte di quel mondo misterioso dei “forti poteri economici”, che qualcosa di poco chiaro, in tutta questa operazione, ci sia!

O no?

4 commenti:

Sabrina ha detto...

Davvero un bel post! Interessantissimo!
Già prima mi sorgeva qualche domanda, pensando ad esempio a come possa la Banca d'Italia vigilare su banche che sono a loro volta proprietarie della Banca d'Italia...
Ma i sospetti emersi dalla tua analisi spingono a riflessioni assai più amare...

Cuca ha detto...

Solo in Brasile ed in Italia la Banca Centrale è posseduta da istituti privati: il controllato è anche controllore.
Abbiamo già visto più volte dove porta questa politica, il caso Parmalat dovrebbe far riflettere.
E Fazio che non si stacca dalla cadrega pure.

Qui si che ci vorrebbe un bell'esproprio. Lo Stato italiano deve nazionalizzare la banca d'Italia, senza versare un solo centesimo nelle tasche di quei vampiri. Non importa quanto strepiterà il signor Sella. E' ora di finirla con i soprusi a danno dei cittadini.

Sergio ha detto...

Mi risulta che non siano solo Italia e Brasile in questa situazione.
Anche le banche centrali di altri stati europei sono in mano a privati e, di conseguenza anche la BCE, che è posseduta dalle varie banche centrali dei singoli stati.
Anche quella degli Stati Uniti è in mano ai privati.

Come vedi ... siamo in buona compagnia!

Cuca ha detto...

Hai ragione Sergio, ho scritto memore di un servizio televisivo.
Avrei dovuto documentarmi meglio.
Purtroppo siamo in buona compagnia come dici tu.