venerdì 15 dicembre 2006

Riflessioni sul Brasile (2): i meniños

La tournée brasiliana con il Coro Marmolada mi ha portato a conoscere, fra l'altro, due organizzazioni missionarie che si occupano di bambini e ragazzi in disagio, quelli che vengono chiamati “meniños de rua”.
È questo uno dei problemi maggiori del Brasile dove le differenze sociali sono marcatissime e dove vi sono pochi ricchi, estremamente ricchi, e tantissimi poveri.
Questo paese ha una popolazione molto giovane: il 70% è compreso fra gli zero ed i quarant’anni. Ma sono soprattutto i più giovani, i bambini, che fin dalla nascita rischiano grosso: vivono in ambienti malsani, le “favelas”, se non, addirittura, vivono per la strada; molto spesso la famiglia è composta solo dalla madre che, giovanissima, è rimasta incinta e che, per sopravvivere, si prostituisce.
Gli ambienti dei poveri confinano, anche se ben differenziati, da quelli dei ricchi ed allora le intrusioni dei primi nel mondo dei secondi sono frequenti.
I ricchi si difendono riducendo a fortini le loro dimore, con recinti murari ed elettrici e con guardie armate agli ingressi. Tutti raccomandano al turista di non girare da solo per le città perché basta poco per essere rapinati.
È una situazione davvero difficile, non per i ricchi, ma per i poveri che, fin da bambini, vivono alla giornata, non prospettando, cioè, alcun futuro. Ed è proprio questa “filosofia” che abbruttisce sempre di più, queste classi, che possiamo definire misere; non hanno nulla da perdere a compiere qualsiasi azione, tanto potrebbero finire anche ammazzati!
E non è questione d’età perché anche i bambini possono fare questa fine.
Ed allora sono benemerite queste organizzazioni, per lo più di religiosi, che cercano di cambiare la vita dei giovani, non tanto fornendo loro un pasto che senz’altro è la cosa che costa di meno in Brasile, quanto indirizzarli ad una professione, istruendoli.
È proprio l’istruzione che riuscirà ad affrancare questa parte di popolazione.
Per decenni i governi precedenti, soprattutto quelli retti dalla dittatura, hanno cercato di opporsi a questo modo di agire delle organizzazioni religiose con sistemi che, con un eufemismo, si possono definire “poco ortodossi”; ovviamente si trattava di persecuzioni, arresti e molto spesso anche tortura.
Il fondatore della Colonia Venezia di Peruibe, vicino a San Paolo, il frate domenicano veneziano padre Giorgio Callegari, deceduto nel 2003 dopo aver soggiornato quarant’anni in quelle terre, è un esempio di come furono trattate queste persone, religiosi e civili, solo per voler istruire i poveri.
Ho avuto modo di conoscere due persone che subirono la prigione e la tortura da parte degli aguzzini del governo dittatoriale ed una di queste porta le conseguenze ben visibili nel fisico ancora oggi.
Oggi c’è un governo “di sinistra” che, però, non ha la maggioranza negli stati più ricchi, quelli del sud, ma la mentalità del distacco, anche fisico, fra classi sociali è difficile da scardinare.
Vi sono numerose organizzazioni che aiutano i più deboli in tutto il Brasile; alcune funzionano molto bene, altre meno, per i motivi più disparati.
Ho visitato due di queste organizzazioni: la prima nella città di Criciuma, nello stato di Santa Catarina, dove una gran parte della popolazione è di origine italiana, soprattutto veneta. Sono i discendenti di coloro che, a fine ‘800, lasciarono le nostre contrade per cercare lavoro e fortuna in “Merica”, come cita un noto canto di emigrazione (ma questa è un’altra storia).
Criciuma ha 180.000 abitanti, dei quali ben 40.000 vivono nelle “favelas”.
Fra i bambini/ragazzi ospiti del “Bairro da Juventude”, questo il nome della struttura, ho notato che i tratti fisionomici di alcuni non sono quelli “classici brasiliani”, cioè di derivazione negroide, ma europei, direi “nordici”; il sacerdote che guida il “bairro”, padre Vincenzo Lunetta, rogazionista, mi ha confermato che non sono pochi i casi di bambini discendenti da veneti che, per situazioni familiari particolari e per lutti, fanno parte della massa diseredata.
Il “Bairro da Juventude” assiste circa 1200 bambini/ragazzi dai zero ai diciotto anni, dalla mattina alla sera; dopo tutti devono rientrare nelle famiglie, anche i più piccoli, perché la struttura, soprattutto l’asilo, non deve diventare un “deposito” di bambini.
Per i primi tre mesi di vita dei neonati vengono ospitate anche le madri perché provvedano all’allattamento al seno.
L’istruzione che viene data all’interno è quella professionale; ho visto un’attrezzatissima officina meccanica dove i più grandi imparano il mestiere di meccanico, che potrà garantire un lavoro dignitoso. Vi sono anche laboratori di musica, e qui non ci sono grossi problemi perché la musica l’hanno nel DNA, d’informatica e d’altro.
Uno “scuolabus” gira fra le scuole pubbliche e preleva i bambini, al termine dell’orario, o li porta, se il turno è pomeridiano, in quanto al “bairro” l’attività è soprattutto ludica. Non manca l’assistenza medica.
Lo scopo principale, oltre all’istruzione professionale, è quello di togliere i bambini dalla strada dove finirebbero nel degrado della droga, della prostituzione e della malavita.
Analoga situazione, anche se in forma più ridotta, l’ho riscontrata a Peruibe, a circa 100 km. da San Paolo, una città di 100.000 abitanti, sul mare, che è diventata la spiaggia dei cittadini agiati di San Paolo. Ovviamente, anche qui c’è una netta distinzione, basta una strada a dividere, fra quartieri degradati e quartieri “di lusso”, tutti con le caratteristiche descritte sopra.
Qui i bambini gestiti hanno un’età che va dai sei ai diciott’anni, età scolare, quindi.
Anche a Peruibe le scuole pubbliche operano su due turni e, quindi, anche la “Colonia” gestisce due turni.
L’istruzione professionale data è ad indirizzo agrario-forestale e ciò per la configurazione del territorio. Ma non mancano corsi di altro genere: musica, come ovvio, ma anche cucito e ricamo, pasticceria, artistica e scuola di mosaico.

I bambini incontrati in entrambe le strutture, pur nella loro vivacità naturale giovanile, e nell’allegria scatenata dai giochi e dalla musica, mi sono sembrati bisognosi, soprattutto, di affetto e negli occhi di tutti traspariva un velo di malinconia.
Molti sembravano alla ricerca di un’adozione a distanza in quanto sanno che, con questo sistema, è più facile proseguire negli studi.

Durante questi incontri ho vissuto delle esperienze, che definirei emozionanti, e che, comunque, desidero tenere solo per me e, spero, mi capirete.

4 commenti:

Toni ha detto...

Caro Sergio, nelle "favelas" ci so-
no indios o bianchi? Forse che questi ultimi sono andati in Brasi-
le per diventare poveri? O forse negli stati del sud, quelli più ricchi, la ricchezza si ferma al limitare delle grandi città, dove gli indios sono presenti solo per svolgere mansioni umili, se non addirittura avvilenti?
Ancora una domanda: c'è nessun coro che va a fare un concerto nelle favelas?

Sergio ha detto...

Non sono entrato nelle "favelas" e, quindi, non posso dirti se c'erano "indios" oppure no. In verità, anche in giro per le città del sud non ho visto indios; questi, secondo quanto appreso ancora tre anni fa, sono stati, in gran parte, eliminati, vuoi dalle malattie portate dai bianchi, ma anche "sparati" da questi ultimi. Infatti, quando i primi coloni si insediarono nelle loro terre ed iniziarono a coltivare i terreni disboscati dal "mato", gli indios, abituati a raccogliere i frutti, senza doverli chiedere, "raccoglievano" anche i prodotti coltivati. Ed era lì che li aspettavano i "nuovi padroni" con il fucile spianato!
Non penso proprio che vi siano cori che facciano concerti nelle "favelas". Da quanto riferitomi, nelle "favelas" non entri se non sei accompagnato.

Toni ha detto...

Caro Sergio,hai capito benissimo che quando parlo di "indios", mi riferisco ai discendenti di questi ultimi. Ed allora avrai anche capito che quando parlo di bianchi, mi riferisco ai discendenti di quei signori che sparavano con disinvoltura. In definitiva il genocidio è uguale a quello perpetrato nell'America Settentrionale, sempre ad opera degli Europei.E nemmeno lì nessuno va a cantare per i pellerossa.

el granzio ha detto...

a proposito di favelas, pochi sanno che iterreni su cui sorgono, hanno sempre un padrone e quando qualcuno decide di tirar su un predio(condominio), ai "favelanti" nessuno manda lo sfratto, ma vanno direttamente con le ruspe.