mercoledì 4 aprile 2007

Il giornalismo, secondo Kapuściński

Più volte ho trattato su questo blog di giornali, giornalisti e giornalismo, pur, come già precisato, non essendo del mestiere. Confesso, però, che mi sarebbe piaciuto esserlo e, soprattutto, esserlo come lo è stato Ryszard Kapuściński
Di questo personaggio, giornalista e scrittore polacco, sempre attento ed acuto osservatore, deceduto di recente, ho trovato su Lapidarium – In viaggio tra i frammenti della storia” (Giangiacomo Feltrinelli Editore – gennaio 2001) questa “scaletta” di una conferenza che l’autore ha tenuto a Rotterdam, che ripropongo ai lettori di questo blog.

“Conferenza a Rotterdam. Parlo del ruolo e del lavoro di un corrispondente all'estero nell'odierna società.
l) Sono diventato corrispondente estero nel 1956, a ventiquattro anni. Da allora non ho mai smesso di esercitare questa professione, specializzandomi soprattutto nei problemi dei paesi sottosviluppati, in particolare dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina.
2) In tutto questo periodo l'ambiente dei corrispondenti esteri è molto cambiato. Una volta dominavano i reporter della carta stampata. Oggi sono in netta minoranza.
3) Adesso regnano le troupe televisive. Nel nuovo contesto i giornalisti sono pochi. Prevalgono gli operatori, i tecnici del suono e delle luci, gli elettricisti, tutta gente molto più preoccupata di scovare una presa per la spina e controllare che il cavo non sia troppo corto, che non di decifrare il senso e la sostanza degli avvenimenti.
4) Tale mondo televisivo si distingue per un forte spirito di competizione. L'essenziale non è informare di quanto succede nel mondo, ma che "gli uni sorveglino gli altri". Ne consegue che i media si spostano sul globo terrestre in massa, a frotte, si incontrano tutti sempre nello stesso unico posto, e in quello si fermano e lavorano. Intanto il resto del mondo sprofonda nella nebbia.
5) Esistono sempre più stazioni televisive, stazioni radio e giornali. Automaticamente ci sono sempre più giornalisti. In questa professione i dilettanti sono sempre stati numerosi, ma oggi invadono addirittura il settore. Molti di loro non si ren­dono conto che fare il giornalista significa innanzitutto lavo­rare continuamente su se stessi, formarsi, acquisire conoscen­ze, cercare di comprendere il mondo.
6) La televisione trasmette la sua versione degli avvenimenti e perfino la sua visione del mondo, della politica, della storia. Il guaio è che questa comincia a essere l'unica versione dei fatti (e al contempo della storia in atto al momento) che arriva al cosiddetto uomo della strada, al membro anonimo della società di massa. Sempre più, quindi, ci facciamo un'i­dea del mondo basata non sulla conoscenza dei fatti e dei pro­cessi che li determinano, ma sulle immagini televisive di quegli eventi; vale a dire su una loro versione interpretata e propinata all'utente, pronta da guardare e da prendere per buona.
7) Oggi il potere politico si rende conto della forza e del significato dei media. Sa come possano diventare un surrogato di governo. anzi un reale e potente centro di potere. e come il governo politico possa perderne il controllo e il dominio.
8) AI tempo stesso viviamo in un mondo sempre più complesso. sempre più difficile da spiegare attraverso i mezzi della comunicazione di massa.
9) Il livello dei media non è determinato solo da manager e giornalisti. Viene dettato anche. e forse in modo decisivo. dal livello degli utenti (il cosiddetto utente medio). Ma poiché non sta bene criticare il livello della società, si attaccano i media. accusando la bassa qualità dei programmi e addirittura il qualunquismo, la banalità e il kitsch.”

6 commenti:

Toni ha detto...

Che chiarezza!!!
E' assolutamente vero che la TV spazzatura non è quella dei programmi della così detta realtà, ma quella dell'informazione rivolta a quell'utente medio, che coincide in gran parte con quel ceto medio, della cui cultura si può ben dubitare. E così non si fa informazione, ma si asseconda,o ad-
dirittura si crea un'opinione.

Cuca ha detto...

Bellissima la scaletta di Kapuściński.
L'ultimo punto però mi sembra che negli ultimi tempi si sia ribaltato:
ora sono i media che determinano il livello dell'utente medio. A forza di proporre e riproporre le stesse stupidaggini ci hanno presi per sfinimento.
L'atteggiamento dei media è: "O mangi questa minestra o salti dalla finestra". Da qui il rincorrersi su format fallimentari o il proporre lo stesso programma su reti una volta concorrenti ed ora solo attente a non pestarsi l'una con l'altra.

Chi ne paga le conseguenze è l'utente che appunto preso da sfinimento si adegua e si rincitrullisce.

Anonimo ha detto...

Molti di loro non si ren­dono conto che fare il giornalista significa innanzitutto lavo­rare continuamente su se stessi, formarsi, acquisire conoscen­ze, cercare di comprendere il mondo.
Il giornalismo è un mestiere non una professione. Da questo equivoco di ritenerlo una professione consegue la denuncia di Kapuściński.
Ogni giornalista di evolve con un suo metodo come gli artigiani. Chi si atteggia professionista finisce con l'essere vittima di regole che non esistono e tanto meno sono universali. Come un ciabattino cura le scarpe per i piedi del cliente così il giornalista di mestiere, non di professione, lavora solo per soddisfare il lettore. Ne è convinto uno che è giornalista di strada da 47 anni.

Sergio ha detto...

Caro giornalista "anonimo",
visto che ritieni il giornalismo un mestiere e non una professione, perché voi giornalisti tenete tanto al vostro "ordine professionale"?

el granzio ha detto...

BRAVO Tenente, questo è uno dei post più interessanti che hai proposto, grazie, vorrei anche dirti, che traspare in te la stoffa del giornalista, sia per come scrivi, che per le scelte degli argomenti,
grazie ancora Sergio

Sergio ha detto...

Grazie per i complimenti, che fanno sempre piacere, ma la stoffa è ormai ... un po' vecchiotta!