domenica 5 giugno 2016

Vi racconto un canto: "Oh butait chei fiêrs in aghe!" (dal n.68 di "Marmoléda", il periodico trimestrale del Coro Marmolada di Venezia)



Vi racconto un canto:
"Oh butait chei fiêrs in aghe!"
di Sergio Piovesan
Scartabellando fra i miei archivi digitali, in gran parte formati da immagini e scansioni di spartiti di canto corale ed in particolare della tradizione popolare, ho trovato un canto friulano il cui primo verso, che dà anche il titolo al canto stesso, è "Oh butait chei fiers in aghe, ...". Il brano fa parte di una pubblicazione degli anni '30 dello scorso secolo, edita dal Comune di Udine con la consulenza della Società Filologica Friulana ([1]): ogni canto di questa pubblicazione oltre alla partitura musicale, armonizzata a tre voci, in genere maschili, riporta anche il testo in friulano con la relativa traduzione.
Il primo verso, viene tradotto così: "Oh gettate in acqua quei ferri, ..." e, tra parentesi, riporta (... quelle armi,).
In considerazione dell'autorità sulla lingua friulana della "Filologica" ho pensato, date la traduzione e l'interpretazione, di trovarmi di fronte ad un canto contro la guerra, del tipo "Prendi il fucile e gettalo per terra".
Il secondo verso recita "... oh fermait chel bastimènt!" che, tradotto, è "... oh fermate quel bastimento!".
Già sul secondo verso ho avuto i primi dubbi in quanto era difficile che i friulani, soprattutto gli abitanti delle montagne carniche, venissero arruolati in marina; ho pensato anche che il canto fosse più antico di molto rispetto alla Grande Guerra, che, cioè, risalisse ai tempi della Serenissima che  imbarcava rematori provenienti da tutti i territori che facevano parte della Repubblica e, quindi, anche dal Friuli. Proseguendo nella lettura i miei dubbi sono aumentati. Infatti il canto prosegue quasi con un pianto dell'innamorata che vede partire il suo  "zovin"  (giovane) "...c'al si 'n va tant malcontènt." ("...che se ne va tanto malcontento!"). Il contesto iniziale potrebbe anche essere quello della partenza per una guerra, ma i versi successivi non supportano questa teoria.
Mi sono avvalso del Vocabolario Friulano-Italiano del Pirona ed ho cercato il termine "fier" (cioè ferro) ed ho trovato che, nella traduzione in italiano, non contempla il sinonimo "armi". Poi, leggendo vari modi di dire legati a questo lemma, ho trovato  "Méti fiers in aghe" letteralmente "mettere i ferri in acqua" il cui significato è "predisporre" e quindi "preparare", "organizzare", "disporre" ed altri termini con significati simili.
Il primo verso può, quindi, assumere questo significato: "Preparatevi..."; a far cosa?  "a fermare quel bastimento!" . Ed allora si comprende che anche questo è un canto legato alle migrazioni che, dall'unità d'Italia al secondo dopoguerra,  sono state un fenomeno di vasta portata  in Friuli.
Questa tesi viene poi confermata da uno studio di Piera Rizzolatti dell'Università di Udine dal titolo "Spunti per la storia dell'emigrazione nella letteratura in friulano" dove la prima strofa del canto in questione diventa l'ultima di un altro canto, legato al fenomeno migratorio, il cui testo riportiamo in nota ([2])  nella quale leggiamo anche una breve introduzione del canto.


Il testo completo e la traduzione (vedi foto accanto) sono stati trascritti, così come sono, dalla pubblicazione di cui sopra. Nello stesso si può notare la parola "mont" tradotta in "mondo"; in friulano "mont" è "monte" e non "mondo" lemma che, invece, è "mond". 



Si riporta, di seguito. le immagini dello spartito che può essere scaricato in formato .pdf cliccando qui.






[1] Società Filologica Friulana - vedi      http://www.filologicafriulana.it/easyne2/LYT.aspx?CODE=SFFW&IDLYT=1377&ST=SQL&SQL=ID_Documento=1

[2] Ma anche lo strazio dei trasferimenti oltre oceano non è eluso nelle villotte con il rimpianto di chi, analfabeta, è costretto a ricorrere ad intermediari:
Jò no sai nè lei nè scrivi,
Ma hai çharte (pene) e calamâr;
Uèi fâ fâ une letarine
E mandalâle vie par mar.
Saludàilu, saludàilu,
Dît che lu saludi jò;
Dît ch’al stêdi alegramenti
E ch’al fasi miei ch’al po’.
Oh butait chei fiêrs in aghe!
Oh fermait chèl bastiment!
A l’è dentri il miò çhar zovin…
Lui s’in và tant malcontent!…

tradotto recita così:

"Io non so né leggere né scrivere,
ma ho carta, penna e calamaio;
voglio far fare una letterina
e mandarla via per ilmare.
Salutatelo, salutatelo,
dite che lo saluto io;
ditegli che stia bene
e che faccia meglio che può.
Oh preparatevi!
Oh fermate quel bastimento!
Vi è dentro il mio caro giovane ...
Lui se ne va tanto malvolentieri. 

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