venerdì 10 marzo 2006

Democrazia diretta

Quando apparve il manifesto di Movimento Zero, iniziativa politico/culturale (o culturale/politica?) di Massimo Fini, uno dei punti che più mi colpirono, in senso positivo, fu quello che diceva: “SI’ alla democrazia diretta in ambiti limitati e controllabili”.
Senza entrare subito nei vari pro e contro di quest’affermazione mi concentrai soprattutto sulla sua prima parte, cioè “sì alla democrazia diretta”, anche perché mi tornò alla mente, strani scherzi delle sinapsi, una poesia che da ragazzino avevo studiato alle medie inferiori, “Il comune rustico” di Giosuè Carducci.
Forse il collegamento nacque dal fatto che la stessa fu scritta quando il poeta soggiornò in Carnia, terra a me cara; “ … o noci della Carnia addio!” recita un verso.
Ed ancora, proprio i versi che più si legano all’argomento trattato, “ … ma del comun la rustica virtù / accampata a l'opaca ampia frescura / veggo ne la stagion de la pastura / dopo la messa il giorno de la festa”. Ecco quindi gli antichi paesani decidere le zone del pascolo pubblico, ma anche, all’occorrenza, la difesa dei confini dagli invasori. “E voi, se l'unno o se lo slavo invade, / eccovi, o figli, l'aste, ecco le spade, / morrete per la nostra libertà”.
Ma il momento culminante si ha nel verso “A man levata il popol dicea, Sí “.
A chi rispondono sì? Al console, a colui che è stato eletto per rappresentarli, magari per guidarli nel combattimento. Ma allora era vera “democrazia diretta”? Era senz’altro un misto fra democrazia rappresentativa e quella diretta e quest’ultima veniva esercitata dal popolo nelle decisioni più importanti per la comunità. Però, rientrando nel testo della poesia troviamo “ … Ma le donne piangenti sotto i veli / invocavan la madre alma de' cieli.”, che ci rivela come l’assemblea che decideva fosse stata esclusiva degli uomini.
Non c’è dubbio che l’espressione “democrazia diretta” sia affascinante perché è la forma di democrazia ideale, ma la domanda che mi posi, non appena i ricordi giovanili e fantastici lasciarono il posto al raziocinio, fu: “È proponibile ai giorni nostri un tipo di democrazia simile a quella del comune rustico?”.
Ed ecco la seconda parte dell’affermazione “finiana”: “ … in ambiti limitati e controllabili.”. Se mi è chiaro il termine “limitati” non riesco a capire cosa viene inteso per “controllabili”.
Evidentemente con “limitati” si vuole mettere dei paletti, chiamiamoli così, sia numerici, cioè decisioni prese da assemblee popolari limitate nel numero, sia di concetto, cioè a ben determinati argomenti.
Esistono oggi esempi di democrazia diretta? Il “referendum” è l’unico esempio che però, soprattutto in Italia, è praticato poco. Si può affermare che anche l’assemblea di condominio è una forma di democrazia diretta? No, neppure questa lo è perché nella fattispecie non conta la maggioranza delle teste ma quella dei millesimi di proprietà; vi è, quindi, più un’oligarchia che una democrazia poiché poche persone, possessori di una maggioranza di quote, possono imporre la propria volontà sulla maggioranza delle “teste”.
Quanto devono essere limitati numericamente gli ambiti? Questa sì che è una bella domanda!
Forse bisogna limitare ai Comuni? Ma a quali Comuni? Quelli fino a mille, duemila o tremila abitanti? E gli altri? Il problema non è facile da risolvere.
Ci sono argomenti che possono essere decisi dalle assemblee popolari ed altri no?
Vorrei provare ad esemplificare qualcosa nella realtà che conosco meglio, cioè nella mia città, Venezia, e trattare di un argomento, il moto ondoso, che da anni non viene risolto. Come si sa i mezzi di trasporto acquei moderni provocano un consistente moto ondoso che pone il problema della sopravvivenza fisica degli edifici secolari che formano il contesto urbano della città insulare.
Con la democrazia rappresentativo, il Consiglio Comunale ed il Sindaco in prima persona, anche nella sua posizione di “Commissario straordinario al moto ondoso” (nominato direttamente dal Governo e quindi non si parlerebbe di “democrazia”) ha provato a mettere delle regole alle quali le varie lobby (trasportatori, commercianti, motoscafisti regolari e “abusivi”) hanno presentato ricorso al TAR ottenendo la sospensione; e siamo ancora in alto mare (“mare forza 10”).
Potrebbe essere questo un argomento da sottoporre ad un’assemblea cittadina? I votanti che dovrebbero dare un parere sarebbero circa quarantamila (i residenti del centro storico sono sessantamila compresi coloro che data l’età minore non possono votare). Ma come dovrebbero esprimere il loro voto? Un’assemblea convocata in uno stadio? Improponibile! Pochissimi parteciperebbero e la maggioranza sarebbe formata da chi è interessato al problema direttamente e cioè dalle lobby citate prima. Sarebbe un voto distorto che non rappresenterebbe senz’altro il parere della città. Esclusa l’assemblea popolare generale non resta che il “referendum”, in questo caso propositivo di più proposte diversificate, proposte a grandi linee che poi dovrebbero venire regolate; una specie di votazione su una “legge quadro”. Comunque non sarebbe una cosa semplice e neppure molto facile da far comprendere a tutto il corpo elettorale.
Vogliamo ridurre allora la “democrazia diretta” ai soli piccoli comuni? E fino a che limiti? Il problema non è semplice.
Allora, vogliamo lasciare tutto alla “democrazia rappresentativa”? E se poi gli eletti vengono fuori con una legge elettorale come quella in vigore per le elezioni politiche del 9-10 aprile 2006? In questo caso affermerei che la rappresentatività è veramente scarsa, quasi nulla! Tra parentesi questa legge elettorale sarà da abolire con un referendum abrogativo, subito dopo le elezioni, qualsiasi sia il vincitore!
La “democrazia diretta” è affascinante perché è la forma di democrazia ideale dicevo più sopra, però un sinonimo di “ideale” è “utopistico”.
Potrà, allora, la “democrazia diretta” diventare realtà o resterà solo un ideale, un’utopia?

1 commento:

Sergio ha detto...

D'accordo sulle "fustigazioni", magari anche fisiche, e sui referendum. Prima però bisognerebbe modificare la legge, non mi ricordo se costituzionale o meno, che vieta gli stessi in materia fiscale.