Nel luglio scorso, quando sui giornali imperava il "Marchionne-pensiero" stavo leggendo "Novelle campagnuole" di Ippolito Nievo e, proprio nella prima novella "La famiglia di campagna", una pagina, che, ricordo, fu scritta nel 1855 quando l'autore aveva ventiquattro anni, mi ha impressionato per l'attualità del pensiero che definirei non solo "politico", ma anche morale. Mentre l'AD della FIAT continua a proporre i suoi "pensieri", la sinistra blatera.
Perché questa sinistra non medita su testi come quello riportato?
"... Questo ragionamento sono sett'anni che lo ripeti prima di coricarti, o povero lettore, come una massima d'Epitteto o una giaculatoria favorita. In questi sette anni sei ingrassato come un tordo, e ti si sono rincolorite le guancie; in questi sette anni la tua casetta si è tutta ringiovanita all'aspetto, e i rabeschi dell'umile imbianchino furono coperti da carte tutto oro e velluto, le seggiole d'abete impagliato si ritrassero modeste alla cucina cacciate da una irruzione di poltroncine elastiche, o almeno di scranne di noce; i candelieri d'ottone si fecero di bronzo o d'argento ; all'inverno le finestre si vestono di doppie invetriate e le stufe ti sgelano le dita, all'estate il tuo giardinetto vede le camelie e i rododentri (sic) sostituirsi ai gerani e al rosmarino soli adornamenti d'una volta: t'è cresciuto un bel cavallo alla stalla e l'avito sediolo giace polveroso in fondo alla rimessa colle stanghe pietosamente al cielo, mentre tu batti il paese in un elegante calessino a doppie suste.
E dimmi un po'in coscienza, di quanti giorni allungasti la tua quaresima per ottenere simili prodigi? In verità se comparvero mai grassi capponi, e agnelli arrostiti e superbe spalle di majale sulla tua tavola, ciò avvenne per fermo in questi anni malaugurati. Né la tua campagna si smagrì di nulla per tenerti in carne: ché i rivali sono folti di pioppi, d'olmi e di gelsi, i solchi negri di concime, le carreggiate fondate di fresco, arieggiate e popolose stalle, copiose le vaccherie, morbidi d'erba i prati, ricise ornatamente le siepi, vagamente disposte le viti. Ora dove hai tu messo ad opera quel tuo consiglio di stringere, di stringere per difendere gli agi tuoi dallo spendio delle annate? Tu lo sai in fondo in fondo, o accorto lettore; e lo sanno tutti, e io pure lo so, se mi propongo dirtelo in quattro parole. Vendendo caramente le tue derrate, diminuendo il numero dei tuoi spesati e raddoppiando sovr'essi di stimolo, nutrendoli con grano semiguasto, né avvantaggiandoli in nulla, impedendoli anzi in quelle abitudini che in anni d'abbondanza senza tuo danno recavano loro assai frutto, angariandoli, spiluccandoli fino all'ultimo soldo di debito, con tali pratiche tu giungesti a buon porto; né secondo le leggi è delitto questa tua regola di condotta, sibbene prudenza e avvedutezza; anzi oltreché guadagno, ne hai lode. Ma Iddio, la tua coscienza, se è viva, ed io per quanto posso ci leveremo in coro contro di te, imprecando a una tal massima di risparmiare sul necessario degli altri per accrescere i comodi proprii. Codesta tua pratica abbominevole (sic), nata dal calcolo che il centesimo di tutti i giorni fa le lire a fine anno, è veramente una guerra sorda e inesorabile fatta a coloro de' quali per obbligo di giustizia, di morale, di religione devi educare l'anima e conservare il corpo; io soglio chiamarla, la guerra del quattrino, né stimo che quella di Crimea vada superba d'un maggior numero di vittime.
Vedi essere per me gran fortuna, o stizzito lettore, che il nostro colloquio succeda solo nell'immaginativa, giacché altrimenti nel capitolo passato m'avresti tempestato le spalle di pugni sonori. Ma non già perché tu creda d'aver ragione, sibbene anzi perché hai torto e ti dà noia questo spiattellarlo al pubblico. ....".
(da "Novelle campagnuole" - La famiglia di campagna - di Ippolito Nievo)