Canti popolari (e non) veneziani a confronto con i tempi attuali
A volte, cantando o
leggendo il testo di canti veneziani del passato, mi soffermo sul significato
dei versi paragonando il modo di vista, la situazione ed i pensieri esposti con
l’attualità. Il risultato di questa mia attenzione scaturisce quindi nella
constatazione di quanto diversi siano i tempi, il modo di vivere e di pensare e
le abitudini di coloro che ci hanno preceduto nella nostra meravigliosa città.
L’input di questa mia
ricerca è stato l’affondamento (“naufragio” intitolava Il Gazzettino del 31
maggio 2004) di due imbarcazioni subito dopo l’arrivo della 30a
Vogalonga; nello specifico, si trattava di due “dragon boats” che, per portarsi
al “Tronchetto”, sono passati per il Canale della Giudecca dove, nonostante la
manifestazione avesse avuto come scopo la battaglia al moto ondoso, hanno
trovato una “… laguna forza cinque …” (Il Gazzettino); come avrebbe fatto
allora la “biondina in gondoleta” a addormentarsi sul braccio dello spasimante
in una situazione simile? (“La biondina in gondoleta / l’altra sera g’ho
mena’; / dal piaser la povareta / la s’ha in boto indormensa’.”). (1)
Certamente oggi i due
amanti, anche se sotto il felze, e quindi nascosti agli occhi indiscreti del
gondoliere, avrebbero poco tempo per badare a cose più piacevoli; intanto
sarebbero molto più sicuri con un giubbotto salvagente ben agganciato, la qual
cosa non favorirebbe il “petting”, e poi, anche se languidamente seduti,
dovrebbero pur sempre stare attenti alla “burrasca” creata dai vari motoscafi,
battelli, mototopi e navi di diverse dimensioni.
Restando sempre nello
stesso ambito, è possibile oggi peregrinare da un punto all’altro della laguna “co’
un batelin da sciopo” come si sente in “E mi me ne so ‘ndao”? Era
quella di allora una Venezia da rimpiangere? Certamente si, ma, direi, solo per
il moto ondoso.
Prendiamo in esame ora “E
tiorte i remi e voga” un canto di pescatori raccolto a Chioggia. Il testo è
il seguente: “E tiorte i remi e voga / che femo sta calà. / Se no se ciapa
gnente / no tornaremo a ca’. / A ca’ senza mangiare / no no se pol tornare. /
Ciaperemo un’anguela / la spartiremo in tre.” (2) A parte la solidarietà fra
lavoratori e la condivisione del poco, sentimenti che c’erano sia allora sia
oggi, soprattutto fra chi aveva ed ha di meno, il problema che si evidenzia è
quello delle “anguele”(3) . Esistono ancora le “anguele” in laguna?
Una volta, quando ti affacciavi da una riva, soprattutto nei pressi di paline o
briccole, ma anche presso i pontili dei vaporetti, si potevano vedere i banchi
di questi piccoli pesci che sembravano fermi e, invece, erano in continuo
movimento controcorrente. E c’era chi li pescava sia con una rete particolare,
chiamata bilancino, ma anche con l’amo nel quale veniva infilata un’esca, in
genere un verme; un altro metodo era la pesca cosiddetta “all’ingosso” (4)
che divertiva soprattutto i ragazzini. Da qualche anno le “anguele” in
laguna non si vedono più e non perché siano state pescate tutte! Forse hanno
preferito emigrare verso acque più pulite, senza diossina o metalli pesanti.
(Grazie Porto Marghera!!!).
Dopo questi primi
confronti con alcuni canti del passato ci rendiamo conto che uno dei problemi
principali, per quanto riguarda la nostra città e la sua laguna, è quello
ambientale vuoi per il moto ondoso ma anche per l’inquinamento. Sono anni che
politici e tecnici ne discutano: ognuno dice la sua, passano gli anni ed i
problemi non vengono risolti. Si può ben affermare che la cultura veneziana risente
di quella bizantina, soprattutto per quanto riguarda la politica. Non si
trovano le soluzioni ed allora tutto si rimanda. E’ proprio il caso di parlare
di “bizantinismo”! E a questo punto affermerei che, per restare in argomento,
ci sta proprio bene il canto “Povero barba Checo” (5) che
rispecchia fatti avvenuti realmente nel corso della millenaria storia della
Repubblica di San Marco: per non turbare lo spirito gioioso della festa della
Sensa, nel primo caso, o del carnevale, nel secondo, furono tenuti all’oscuro i
decessi dei dogi Pietro Loredan (1570)
e Francesco Loredan, nel 1762.
Pur sembrando un
sotterfugio bisogna ricordare che le feste a Venezia servivano anche per
mostrare ai rappresentanti delle altre potenze la gloria e la potenza della Serenissima;
era quasi una “ragion di stato”.
Concludo questo breve
“confronto” ricordando un canto che, pur in un contesto diverso, si deve considerare “attuale”. Non ci si può
nascondere dietro un dito dicendo che, oggi, i nostri soldati vanno all’estero
in missione di pace; sono, comunque, in zona di guerra, con tutti i pericoli e
le incognite derivanti da questa situazione. “Adio, bela Venezia, adio
laguna” (6) è una villotta veneziana derivante, molto
presumibilmente, da un antico canto di crociata; . “Vado a battermi contro i mussulmani” è la traduzione del terzo verso della prima
strofa che si completa con quello seguente “… vago a farghe paura a le
sultane.” . Si può inserire anche nella categoria dei canti di partenza nei
quali la speranza del ritorno è il sentimento che traspare dal canto, ma non
sempre, ed accade anche oggi, il ritorno a casa si avvera.
Note
1)
“La biondina in gondoleta”, versi di
Antonio Maria Lamberti, musica di Johann Simon Mayr. – Canzone da battello di
fine XVIII secolo (1788), quindi quasi al termine della Serenissima, dedicata
alla nobildonna Marina Querini Benzon.
2)
Traduzione: “Prendi i remi e voga / che
caliamo le reti. // E se non si prende niente / non torneremo a casa. // A casa
senza cibo / no, non si può tornare. // Prenderemo
un pesciolino / lo divideremo in tre.”
3)
Acquadella o latterino, piccolo pesce della
laguna.
4)
Si doveva infilare il verme all’amo
lasciandolo pendere nella sua lunghezza; il pesciolino, essendo molto vorace,
inghiottiva una buona parte del verme restando in questo modo ingozzato. Si
doveva essere posti molto vicini al pelo d’acqua perché, nel tirare su la lenza
e se la traiettoria era molto lunga, il pesciolino poteva staccarsi.
5)
“Povero barba Checo / che l’è casuo in canale, / sensa saver nuare / el s’ha
negao. // Me l’ho recuperao, / me l’ho messo qua drento / per darghe spassio e
tempo / al carnevale.”
6)
“Adio, bela Venezia, adio laguna / adio
care putele veneziane, / mi vago a misurarme co la luna, / vago a farghe paura
a le sultane. // Ma tornarò onorato e in gran fortuna / a sti porti, a ste
rive, a ste cavane / e a dirve ancora tornarò: «Putele, / ve voi più ben, se’
deventae più bele! ».”
Bibliografia
-
“I canti del mare” di A. Virgilio Savona e
Michele L. Straniero – Edizioni Mursia 1980
-
“Sentime bona zente” di Luisa Ronchino –
Filippi Editore Venezia 1990
-
“Canti della Laguna Veneta” di Loris Tiozzo – Veneta Editrice 1988