mercoledì 27 febbraio 2013

Alan Lomax e le sue idee sul canto popolare



Molto spesso, pensando al repertorio del mio coro, che frequento ormai da 48 anni, mi domando se quello che cantiamo possiamo definirlo "canto popolare"; lo stesso vale per tutti i complessi corali cosiddetti "cori di montagna", ma anche "cori alpini" e "cori popolari". Poi mi domando anche se le diverse classificazioni di appartenenza che troviamo nei vari moduli di iscrizione a concorsi ed a rassegne siano da considerare giuste o corrette.  Ed allora nasce spontanea una domanda: "Oggi cosa si può definire canto popolare?"
La risposta non è facile anche perché non tutti sono d'accordo. La mia idea è che il canto popolare, almeno come espressione musicale di momenti d'amore, di dolore, di gioia, di lavoro, ma anche di disperazione, di malinconia, di nostalgia e di quant'altro, nata nel corso dei secoli  e tramandata oralmente, termina nella seconda meta del secolo scorso quando radio e televisione imposero globalmente i loro canoni musicali che modificarono radicalmente i gusti ed il modo di cantare -ma anche di non cantare- della popolazione.
Prima di quel periodo ci furono -per fortuna- dei ricercatori che, con pazienza, si avvicinavano a chi, nei paesi di campagna e di montagna, ma anche nelle periferie delle città e nei luoghi di lavoro all'aperto, cantava liberamente motivi e testi che avevano appreso dalla generazione precedente. Il loro lavoro consisteva nella trascrizione di testi e musica dei brani che ascoltavano; questo accadeva -almeno per quanto riguarda l'Italia- nell'800 e nella prima metà del '900. Dopo la seconda guerra mondiale, soprattutto negli anni '50, con l'avvento di strumenti per la registrazione audio, il modulo di ricerca si modificò: al posto di quaderni e fogli musicali scritti a matita sul posto ci furono metri e metri di nastro magnetico e, successivamente, di dischi fonografici soprattutto quando nacquero i LP a 33 giri. Uno dei personaggi più famosi in questo campo, che svolse questo tipo di lavoro anche in Italia, fu lo statunitense Alan Lomax[1]  che nel  1954-55 percorse l'Italia in largo ed in lungo, con un registratore "Magnecord", registrando voci di singoli o più cantori, con e senza strumenti, nelle osterie, nelle aie e nei luoghi di lavoro.  In Sicilia le canzoni dei salinai, quelle di chi lavorava nelle tonnare, ma anche le storie dei  "Paladini e di Rinaldo" cantate e raccontate dai cantastorie. Non mancano i canti del periodo della mietitura in diverse regioni, quelli dei pastori e boscaioli di montagna e di pianura diversi anche se della stessa regione [2]  ed ancora quelli dei pescatori di pesce spada. Da queste sue esperienze è nato un libro[3] avvincente ed interessante.
Alan Lomax venne anche nel Veneto, a Venezia (Pellestrina) ed a Chioggia dove registrò, e quindi recuperò,  fra l'altro due canti che sono entrati anche nel repertorio del Coro Marmolada; e mi riferisco al "Canto dei battipali" ed "E mi me ne so 'ndao"  si quali torneremo più avanti. Fu anche in Friuli che descrive come "... la regione della polifonia, dalle voci aperte, liquide, che vanno lontano, mescolate in una dolce armonia e in una sequenza di accordi che sono entrambe incomprensibili per gli italiani più a sud, e soprattutto è la regione delle influenze culturali, linguistiche e musicali che giungono dall'Europa  del nord. ...". 
Un particolare che mi ha colpito del lavoro di Lomax  è stato questo: arrivando nei diversi paesi si rivolgeva in primo luogo alle autorità; queste gli proponevano cori o gruppi folcloristici organizzati e lui li lasciava perdere recandosi, invece, nelle osterie dove offriva del vino, a volte parecchio vino, che predisponeva le ugole. In Emilia, come riportato da chi lo assisteva logisticamente, girava fra i vari paesi dove difficilmente riusciva a trovare, nonostante il vino,  " ... canzoni che, localmente, avessero una radice. ...".Poi, finalmente, nel paese di  Campòlo, ascolto una ninna nanna che lo soddisfò;  e lì, come riferisce la medesima persona, in un "... locale in condizioni disperate,ma utile perché vi servivano certi vinacci toscani..."   effettuò la registrazione.
In poche parole descrive l'Italia musicale così:  "L'Italia è una terra dalle molte voci, alcune aspre e dolenti, altre estremamente arcaiche: nessuna corrisponde alla nostra idea della bella arte della canzone. Eppure in ogni regione sono giunti fino al nostro tempo un sentimento antico, una cultura locale della bellezza." . Ma questa sua idea non trovava riscontro presso altri studiosi della materia. Ad esempio Massimo Mila[4]  sosteneva che il "canto popolare italiano, ma anche europeo, si basa su un linguaggio armonico e tonale che, in sostanza, non si scosta da quello dellamusica colta europea"; ed ancora, sempre secondo lo stesso Mila, "... i contadini italiani ed europei cantano melodie fondate sui sottoprodotti del corale luterano e sui detriti delle arie dei cori d'opera italiana e francese, cioè sui cardini stessi del linguaggio musicale romantico".    
Lasciando queste polemiche sorte fra musicologi, un confronto ed uno scontro  che, comunque, arricchiscono il pensiero, ritorno ai due canti che interessano il "Marmolada" e che, in effetti rappresentano anche tutti gli altri canti cosiddetti popolari. Riscoperti e registrati dalle voci degli ultimi battipali e dagli ultimi barcaioli che remavano, Lomax affidò a Roberto Leydi[5]  le registrazioni per curare l'edizione discografica italiana. Questi, come riporta Gualtiero Bertelli[6] nel suo sito[7], fece avere a Luisa Ronchini[8] le registrazioni  effettuate da Lomax e da    Diego Carpitella[9] a Chioggia e a Pellestrina, località lagunari, in modo che incominciò a prendere corpo un piccolo, ma significativo, repertorio veneziano.
Da questo si deduce che Alan Lomax "recuperò" questi due canti e Luisa Ronchini li divulgò con le sue interpretazioni.  Ma già a questo momento l'interpretazione della Ronchini non era più l'originale canto popolare, ma, appunto solo un'interpretazione. Ed ancor più il genere popolare si allontana dalle interpretazioni del Coro Marmolada che esegue i due brani armonizzati[10] per coro a quattro voci virili.
In conclusione, il Coro Marmolada -ma anche gli altri cori con simili caratteristiche- non fanno canto popolare, ma canto corale "polifonico", nel senso etimologico del termine, i cui brani sono di origine popolare.  
Forse la dizione "cori d'ispirazione popolare", individuata già anni fa, senz'altro è la più corretta.


[2] Riferendosi al Gargano ed alle zone costiere scrive:" ... è una terra di pastori e boscaioli, boscaioli che vivono sulle montagne e cantano ruvidamente in coro, e pastori sulle strette e assolate pianure costiere che cantano le note più alte inassoli agonizzanti, come donne che urlano, e si accompagnano con la chitarra battente."
[3] Alan Lomax "L'anno più felice della mia vita - Un viaggio in Italia 1954 - 1955"  (Il Saggiatore, 2008)   
[4] Massimo Mila (Torino, 14 agosto 1910Torino, 26 dicembre 1988)
[6] Gualtiero Bertelli (Venezia, 16 febbraio 1944) è un cantautore italiano.
[7] http://www.gualtierobertelli.it/
[8] http://digilander.libero.it/gianni61dgl/luisaronchini.htm
[10] "Il canto dei battipali" è stato armonizzato da Giorgio Vacchi  (Bologna, 2 maggio 193224 gennaio 2008, direttore di coro ed etnomusicologo italiano.) mentre "E mi me ne so 'ndao", pur mantenendo il cantato della voce solista, è stato elaborato da Lucio Finco ( http://www.coromarmolada.it/LUCIO-FINCO.htm ), già direttore del Coro Marmolada, con un accompagnamento "muto" del coro.

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