sabato 10 novembre 2012

"Il canto degli italiani"



“Il canto degli italiani”
La recente legge che rende obbligatorio l'insegnamento nelle scuole de "Il canto degli italiani" ha nuovamente dato adito alle solite polemiche di str...ani personaggi che siedono nel nostro Parlamento, personaggi che continuano a blaterare sul nostro inno nazionale, più conosciuto come “Inno di Mameli” o “Fratelli d’Italia”. Tanti parlano e danno giudizi (“sputano sentenze”) senza, però, conoscere minimamente la storia di questo canto. Ma non solo coloro che parlano troppo sono ignoranti; purtroppo anche molti italiani ignorano la storia dell’inno e lo ascoltano solo in occasione delle partite della nazionale di calcio.
Allora, in queste poche righe, cercherò di riassumere brevemente i fatti e di esaminare il testo.
L’autore del testo fu, circa a metà ottocento, il giovane studente e patriota genovese Goffredo Mameli nato il 5 settembre 1827.  Studente e poeta precocissimo, di sentimenti liberali e repubblicani, aderì alle idee di Mazzini(1) nel 1847, l'anno in cui partecipò attivamente alle grandi manifestazioni genovesi per le riforme e scrisse “Il Canto degli Italiani”.
Aveva solo vent’anni ed una formazione classica con un forte richiamo alla romanità (2).
Dal 1847 la sua vita sarà dedicata interamente, ma per soli due anni, alla causa italiana; fu a Milano, insorta nel marzo del 1848 e, poi, in combattimento contro gli austriaci sul Mincio. Tornato a Genova, collaborò con Garibaldi e da lì, nel novembre dello stesso anno, giunse a Roma dove, il 9 febbraio 1849, fu proclamata la Repubblica. Qui fu sempre in prima linea nella difesa della città assediata dai Francesi: il 3 giugno fu ferito accidentalmente dalla baionetta di un amico alla gamba sinistra, amputata per la sopraggiunta cancrena; in seguito, a causa dell’infezione, morì il 6 luglio 1849, alle sette e mezza del mattino, a soli ventidue anni.
Il testo (3), oltre al richiamo degli ideali mazziniani e della romanità (vedi note 1 e 2), evidenzia, nella seconda strofa, la speranza dell’unificazione dell’Italia allora divisa in sette Stati, e, nella successiva,  i principali avvenimenti della storia italiana ripercorrendo sette secoli di lotta contro il dominio straniero (la battaglia di Legnano del 1176, l’episodio di Francesco Ferrucci a Firenze nel 1530, i Vespri siciliani del 1282 e la rivolta popolare di Genova del 1746 il cui simbolo fu la figura di “Balilla”).
La quinta strofa, infine, è un chiaro e forte riferimento all’inizio del declino dell’impero asburgico  e, proprio per questo motivo, fu censurata dal governo piemontese.
Anche il compositore, Michele Novaro, è genovese; nato il 23 ottobre 1818, studiò composizione e canto. Nel 1847 era a Torino, con un contratto di secondo tenore e maestro dei cori dei Teatri Regio e Carignano. Convinto liberale, offrì alla causa dell'indipendenza il suo talento compositivo, musicando decine di canti patriottici e organizzando spettacoli per la raccolta di fondi destinati alle imprese garibaldine.
A Torino, nel 1847, Novaro, che frequentava gli ambienti liberali, in un incontro con amici dove si discuteva di politica e si faceva musica, venne in possesso del testo di Mameli e, tornato a casa, in una sera di metà novembre, lo musicò.
Il 10 dicembre 1847 l’inno fu suonato e cantato per la prima volta a Genova in occasione del primo centenario della scacciata degli austriaci da Genova; vi assistevano trentamila persone! Subito divenne famoso e in ogni occasione, più o meno pacifica, era cantato in tutta Italia: durante le “cinque giornate di Milano” gli insorti lo cantavano a squarciagola. Anche Garibaldi lo intonò nell’impresa dei “Mille”.
L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo “Inno delle Nazioni” del 1862, affidò proprio al “Canto degli Italiani” - e non alla “Marcia Reale” - il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a “God Save the Queen” e alla “Marsigliese”.
Dopo l’unità d’Italia, il canto fu molto popolare, ma l’inno nazionale rimase la “Marcia reale”; sotto il fascismo fu egualmente in voga, assieme ad altri canti risorgimentali,  anche  se canti più prettamente fascisti, che pur non essendo degli inni ufficiali, erano diffusi e pubblicizzati molto capillarmente.
Con l’avvento della Repubblica, pur non essendo riconosciuto dalla Costituzione come il “tricolore”,  il Consiglio dei ministri nel 12 ottobre 1946 deliberò all'uso dell'inno di Mameli come inno nazionale.
Musicalmente l’inno non è ritenuto eccelso, anzi da molti viene classificato come “brutto” non considerando che negli inni nazionali, anche in quelli d’altri stati, è preponderante il testo sulla musica che, fondamentalmente, deve solo essere orecchiabile per favorire la memorizzazione, e quindi la diffusione delle parole; per tali ragioni molti di questi inni, in primis “Il canto degli italiani”, sono solo "marcette", perciò il valore artistico e la qualità musicale sono elementi secondari. 
Ma non tutti ritengono “brutto” quest’inno; Roman Vlad, famoso musicista che ricoprì anche alte cariche in varie istituzioni musicali italiane disse, fra l’altro: “… E poi non è vero che sia poco orecchiabile o che sia così brutto come si dice. …”


NOTE
1 Uniamoci, amiamoci, / l'Unione, e l'amore / Rivelano ai Popoli / Le vie del Signore / …”. Mazziniano e repubblicano, il Mameli  traduce, in questi versi della terza strofa, il disegno politico del fondatore della “Giovane Italia” e della “Giovane Europa”.

2 Nel testo della prima strofa viene richiamata la “Vittoria”, con la “V” maiuscola, perché il riferimento è alla dea Vittoria che, per volere degli dei, divenne schiava di Roma.
Anche il verso del ritornello  “stringiamoci a coorte” richiama quest’idea, essendo la coorte la decima parte della legione romana.

3 Fratelli d'Italia / L'Italia s'è desta, / Dell'elmo di Scipio / S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria? / Le porga la chioma, / Ché schiava di Roma / Iddio la creò.
Stringiamci a coorte / Siam pronti alla morte / L'Italia chiamò.

Noi siamo da secoli / Calpesti, derisi, / Perché non siam popolo, / Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica / Bandiera, una speme: / Di fonderci insieme / Già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte / ….


Uniamoci, amiamoci, / l'Unione, e l'amore / Rivelano ai Popoli  / Le vie del Signore;
Giuriamo far libero / Il suolo natìo: / Uniti per Dio / Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte / …


Dall'Alpi a Sicilia  / Dovunque è Legnano, / Ogn'uom di Ferruccio / Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia / Si chiaman Balilla, / Il suon d'ogni squilla / I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte / …


Son giunchi che piegano / Le spade vendute: / Già l'Aquila d'Austria / Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia, / Il sangue Polacco, / Bevé, col cosacco, / Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte / …

1 commento:

Elio ha detto...

Ciao Sergio, presumo che i contestatori portino la camicia od il fazzoletto verde. Ritengo che molti italiani, per non dire quasi tutti, non conoscano l'intero testo anche perché, sia nelle scuole che nei campi di calcio ci si ferma alla prima strofa. L'apprendimento dell'intero inno dovrebbe cominciare dalle scuole. Mi fai ricordare Muti che lo ha suonato prima dell'inizio di un concerto alla presenza di Berlusconi e di rappresentanti della lega. Buonanotte.